scritto da Filippo Falvella - 14 Maggio 2023 07:58

Il bando dei forestierismi: distruggere è più produttivo di costruire?

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Considerazioni sulla proposta di legge del deputato di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli contro i forestierismi, in una analisi sull’attuale stato della lingua italiana e del suo utilizzo.

 

Il mese scorso è tornata a far discutere la proposta di legge di Fratelli d’Italia, presentata però già lo scorso dicembre, che propone a tutela della lingua italiana una serie di obblighi concernenti l’utilizzo di termini di natura straniera in ambiti istituzionali italiani, con multe in caso di violazione che vanno dai cinquemila ai centomila euro.

Il testo è composto da otto articoli, i quali fanno riferimento alle modalità, come già detto, da evitare obbligatoriamente al fine di salvaguardare l’utilizzo della lingua italiana in quei contesti nella quale è messo a rischio il suo predominante utilizzo, secondo il governo che durante il “Vinitaly” discusse, fortunatamente senza auto sanzionarsi per gli inglesismi, del “Liceo Made in Italy”.

È ovvio che le cicatrici che il nostro paese ancora cura portano sempre un certo scalpore a tutti quei potenziali attentati alla libertà espressiva, indipendentemente dalla portata e la veridicità di questi: non è una vergogna temere la censura. Era consequenzialmente logico immaginare la contrarietà della maggior parte della popolazione, tra cui la stessa Accademia della Crusca, su questo modello già portato avanti attraverso delle modifiche costituzionali da Francia e Spagna.

La natura idiomatica di un paese è sicuramente una delle principali caratteristiche identificative dello stesso, sarebbe decisamente pleonastico adesso discutere sull’importanza di una lingua o del linguaggio in sé, e nel primo approccio cognitivo che si può avere sull’immaginario di un paese un primo pensiero va’ quasi sempre sulla lingua utilizzata nel territorio.

Nel nostro paese la creazione di un linguaggio rappresentò l’effettiva nascita di una penisola unita, a partire dagli sforzi di Dante Alighieri con il suo “De Volgari eloquentia” abbiamo sempre fatto della nostra identità linguistica un patrimonio nazionale, dando quella stessa attenzione che si dava agli antichi volgari ai più recenti e sviluppatisi dalla stessa radice dialetti, tutelando dunque tutte le sfaccettature dell’italiano. Ma restando momentaneamente in questo brevissimo excursus storico mi piacerebbe riportare alla mente quella citazione del deputato di una giovanissima Italia, Ferdinando Martini, che affermava: ”Fatta l’Italia, bisogna fare gli Italiani.”

Un paese che per affermare la sua identità necessita del divieto di lingue che non siano la sua risulta essere scarso sotto qualsiasi altro punto di vista identificativo, se temo che il mio essere sia messo in dubbio il risultato dev’essere che il primo ad aver dubbi sul mio essere sono io.

Una affermazione così provocatoria che sembra negare l’importanza della lingua o la vastissima estensione culturale che il nostro paese orienta sul mondo vuole ovviamente essere uno spostamento d’attenzione sulla realtà che sta alle spalle di una simile proposta di legge. Più che un attaccamento alla lingua tutto ciò risulta essere un attaccamento all’italianità, la quale messa in discussione è stata arbitrariamente deviata sulla lingua. Piuttosto che una proposta che attui una valorizzazione su quelli che sono i veri punti che andrebbero tutelati del nostro paese, viene messa in atto una tentata censura che sfrutta il recente interessamento da parte dei più ad un linguaggio che sta drasticamente cambiando a livello globale.

Ancora una volta a discapito della creazione si tenta la decisamente più comoda distruzione, piuttosto che possibilità vengono offerti limiti e un falso interesse vieni mascherato da furiosa salvaguardia di un paese che sembra interessare solo nella sua idea ormai perduta.

Il tentativo di dare un senso così unico ad un qualcosa che continua ad affannare nella sua forma è quasi una presa di coscienza di una insolubile insufficienza. Sarebbe scontato giudicare tale interessamento alla tutela di una lingua che viene sempre meno studiata e valorizzata nella sua potenzialità, come se la minaccia all’Italiano fossero davvero, ancora una volta, gli stranieri e non gli Italiani.

Ingaggiare una battaglia alla difesa di un qualcosa che andrebbe tutelato prima internamente che esternamente non è altro che un becero tentativo di aizzare folle che trovano sempre più fatica nel rispettare i congiuntivi verso un nemico dal volto celato, che smascherato altro non sarebbe che un Italiano che pretende rispetto senza rispettarsi.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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