Ieri ho sentito dire: “domani ci chiudono”.
L’ho sentito anche l’altro ieri.
Anche oggi, in giro, si diceva: “domani ci chiudono”.
E c’è da scommetterci che domani si dirà ancora.
Da un po’ di tempo è sempre il giorno prima.
Un’atmosfera minacciosa e instabile che come un malessere invisibile si è infilato sotto la nostra pelle. Si tratta della “sindrome del giorno prima” un disagio che, alla lunga, sfibra anche i migliori ottimismi. Si! Crediamo di poter vivere un giorno per volta, ma in realtà nessuno è in grado di coltivare una buona speranza, anche piccola, se l’orizzonte è così breve.
Beato chi è felice senza sapere cosa lo aspetta domani.
La consolazione, giunta in questi giorni, di essere collocati in “zona gialla”, cioè in un’area a pericolosità moderata in quanto a contagi da coronavirus, è durata poco. Il sospetto che non tutti i dati fossero stati comunicati con esattezza, circola e inquieta.
Quindi se a causa del virus siamo temporaneamente in “zona gialla”, è confermato che è dalla “zona grigia” che non riusciamo mai ad uscire.
Tra dispacci parascientifici e veline di propaganda, arringhe televisive e litigi sotto metafora, tra le nebbie delle notizie che arrivano frammentarie e contraddittorie, i pareri di decine di esperti, il pregiudizio sui cittadini colpevoli di essere infetti e l’imprudenza e la rabbia di molti altri, in quest’aria vagabondiamo.
Nel frattempo, nel Risiko dei contagi, non sappiamo se augurarci che davvero la situazione della regione Campania sia migliore di quello che sembra o che, temendo sia peggiore, ci collochino immediatamente in “zona rossa” per limitare i danni.
Eccoci finiti in questo interminabile “giorno prima” frutto della nostra irrisolutezza. Della difficoltà a prendere decisioni valide e longeve. Il classico “navigare a vista” attraverso il quale l’Italia è governata da sempre, vittima di troppi mediocri ai posti di comando.
E noi qui: rassegnati al pensiero che stiamo facendo l’ultima passeggiata. Senza sapere quando sarà la prossima.
Nel tempo sospeso del nostro “sabato del villaggio” al contrario, si consuma quel briciolo di entusiasmo residuo dell’estate.
Aspettando che il giorno prima diventi il giorno e basta, prendiamo l’ultimo caffè al bar, leggiamo per l’ultima volta il giornale sulla panchina. Salutiamo un amico incrociandolo per strada.
Una piccola morte senza inferno né paradiso, solo uno scomodo e noioso purgatorio che ognuno affronta come meglio crede.
C’è chi si affanna a terminare gli affari sospesi, chi non si affretta. Chi fa finta di niente, chi si organizza. Chi si dà da fare, chi contesta. Chi impazzisce e chi era impazzito già.
D’altronde, ogni sopravvivenza ha bisogno dei suoi trucchi.
Di qualsiasi colore sia la zona.
(nella foto: Locandina del film “Paesaggio nella nebbia” di T. Angelopoulos – 1988)