Il vicolo cieco: Zelensky non può vincere, ma Putin non può perdere
È inutile girarci intorno, ormai il mondo è in un vicolo cieco, sintetizzato dal titolo di questo articolo.
Che, spiegato in maniera il più possibile elementare, sta a significare che da un lato l’Ucraina invasa non ha alcuna speranza di vittoria, almeno per come la intende Zelensky , cioè della riconquista non solo di tutte le zone occupate dal 24 febbraio scorso dall’esercito russo, ma pure della Crimea che nel 2014 Putin ha annesso, cacciare dietro la vecchia frontiera del 2014 l’esercito russo; impresa a nostro avviso irrealizzabile, giacché, nonostante la determinazione dell’Ucraina e la grande motivazione delle sue truppe, si trova di fronte a un colosso militare contro il quale non può competere.
Finora proprio in virtù di quelle pregevoli qualità, Zelensky è riuscito a far fronte alla invasione russa, quindi sul suo suolo potrebbe risultare, in definitiva, vincente, ma non ha un esercito adeguato ad invadere la Russia, posto che la sua vittoria definitiva potrebbe essere condizionata dall’arretramento del confine russo in maniera da creare un corridoio cuscinetto tra i due stati, quello russo e quello ucraino, che potrebbe essere controllato da truppe neutrali, già più volte proposto sin da marzo 2022, e già altrove creato, in passato e anche adesso, in varie parti del mondo.
Ma, sul fronte opposto, c’è una realtà che non può essere ignorata, e cioè che Putin non può perdere giacché all’interno del suo paese si trova a dover fronteggiare due schieramenti contrapposti.
Da un lato quello dei falchi che lo tengono sotto pressione, i quali vogliono vincere ad ogni costo, che chiedono una maggiore determinazione dell’esercito per risolvere il problema ucraino, fino a mettere in campo bombe atomiche che, se pure denominate tattiche, sempre micidiali sono, e contro le quali non si sa come potrebbero reagire le forze della Nato: è il fronte degli intransigenti, dei duri e puri, che vogliono vincere ad ogni costo, che non si fanno intimorire dalla possibilità che questo conflitto si possa trasformare in una nuova guerra mondiale.
Ma Putin deve pure fronteggiare, all’interno della sua immensa nazione, nuovi movimenti di opposizione, certamente meno pericolosi ma ugualmente determinati, quelli dei pacifisti, degli scontenti di questa guerra, che non sentono loro, che non la comprendono, che la considerano lunga e di difficile sbocco, aggravato dall’aspro dissenso per la chiamata alle armi generalizzata, che ha provocato la fuga di migliaia di uomini pur di sottrarsi alla stessa; questi probabilmente sono i fronti che, nel breve tempo, Putin teme di meno, ma esistono, si ingrandiscono giorno dopo giorno, e sono realtà che non possono essere ignorate.
Comunque non si può non tener conto che, da qualche giorno, un convoglio ferroviario sembra che si sia mosso dalla Russia e sia in viaggio verso l’Ucraina, ma non è un convoglio militare come i precedenti, perché starebbe trasportando attrezzature nucleari, il che fa sospettare che quelle bombe atomiche tattiche delle quali da tempo si parla, siano già in viaggio verso l’Ucraina, la quale sta distribuendo medicinali a base di iodio per contrastare le eventuali radiazioni derivanti da scoppi di bombe termo-nucleari.
Si parla di bombe tattiche, ma nessuno può escludere che ad esse non possano far seguito altre di maggiore potenza, e di più largo impiego.
Pertanto nessuno sa quale futuro dobbiamo attenderci.
È certo, comunque, che il potere di Putin sembra veramente in bilico, giacché i falchi che lo circondano e lo tallonano sono già in lista per prenderne il posto, se è vero, come sembra, che sono diversi i personaggi in lista di attesa.
Insomma, il dittatore russo il suo settantesimo compleanno non lo potrà festeggiare in tranquillità.
Perché all’attacco frontale del presidente ceceno, Ramazan Kadyrov e del businessman Evgenij Prigozhin, fondatore del gruppo di soldati mercenari Wagner, contro il ministro della Difesa, Sergeij Shoigu, uomo di fiducia del presidente, la corsa alla successione è aperta, anche se è ancora difficile capire quanto potrà durare e soprattutto chi la vincerà.
Quel che è certo, è che se prima Vladimir Putin era circondato da un cerchio magico di fedelissimi, adesso per la maggior parte è gente che vuole prendere il suo posto. E che proviene da storie diverse, con diversi apparati che li sostengono.
Il nome più accreditato, secondo molti, è quello di Nikolaij Patrushev, di San Pietroburgo come il presidente, che conosce dagli anni ’70, anche per il comune passato nel Kgb, il servizio segreto russo.
Potentissimo, il suo nome sarebbe accolto in modo positivo da parte dell’intelligence, meno da una parte dell’establishment militare che però, dopo la disfatta in Ucraina, sebbene molte delle colpe siano proprio dei servizi segreti, starebbe zitto.
Unico inconveniente della ‘super spia’ del Cremlino è l’età, un anno più di Putin e per questo alcuni ritengono che, alla fine, potrebbe mandare avanti il figlio maggiore, Dmitrij, che, secondo i bene informati, sarebbe già andato ad accreditarsi a Pechino, giusto per guadagnare tempo.
C’è poi “l’eterno secondo”, Dmitrij Medvedev, che ha già servito come presidente della Repubblica per un solo mandato, dal 2008 al 2012, solo perché Putin non poteva ricandidarsi. La sua sarebbe una candidatura forte, in quanto più noto di altri all’elettorato.
Poi ci sono vari outsider, che potrebbero imporsi e riuscire a venire a galla appoggiati da consorterie e oligarchi che ora sembrano solidali con Putin, ma che sembrano col naso in aria a scrutare l’orizzonte.
A partire dal sindaco di Mosca, Sergeij Sobyanin e l’attuale premier, Mikhail Mishustin, anche se pare che nessuno dei due muoia dalla voglia di entrare in competizione.
Il motivo è presto detto: fra le ipotesi che circolano con maggiore insistenza, c’è anche quella della creazione di una ‘troika’, di breve durata, formata dal già citato Nikolaij Patrushev, Alexander Bortnikov, capo dei servizi segreti e dal ministro dell’Interno, Vladimir Kolokoltsev.
Saranno comunque loro a decidere chi sarà il sostituto di Putin; e chiunque diventerà presidente dovrà comunque rendere conto a loro e in seconda battuta saper gestire Ramzan Kadyrov, il 46enne capo della Repubblica cecena, che è uno dei più critici nei confronti di Putin.
Quindi, come abbiamo già avuto modo di chiosare qualche tempo fa, “se Atene piange Sparta non ride”: sarebbe bene che i due contendenti, Zeleski e Putin, trovassero finalmente qualche motivazione per salvarsi in quanto, a nostro avviso, una ulteriore esasperazione del conflitto danneggerebbe entrambi.
E sarebbe cosa buona e giusta che i più ascoltati leader mondiali, primi tra tutti il cinese Xi Jinping e il turco Erdogan scendessero in campo per stringere i due in un angolo e farli ragionare.
E infine sarebbe opportuno che pure l’americano Biden trovasse il modo di stabilire un canale diretto con Putin per avviare un discorso, come ha appena detto in Europa il suo Segretario di Stato Blinken: “Il nostro obiettivo comune è una via diplomatica di uscita dal conflitto in Ucraina; l’obiettivo degli Usa è il dialogo, non l’aggressione -ha spiegato in una conferenza stampa- i partner dell’Occidente parlano a una sola voce quando si tratta della Russia e questa unità ci dà forza”, facendo notare che la Russia non può godere di questo stesso tipo di forza.
Il discorso certamente non sarà facile, né indolore, e potrebbe essere lungo: ma parlare non è mai inutile, l’importante è cominciare.