“Il carrozzone va avanti da sé, con le regine, i suoi fanti, i suoi re” cantava Renato Zero nel 1979 col suo valzerino e, naturalmente, l’allusione va all’azienda nazional-popolare della RAI che, di consuetudine, ad ogni nuovo Governo cambia i propri vertici, come per dire che chi vince alle politiche si prende la propria rivincita politica e culturale, che somiglia assai a un desiderio tracotante di vendetta. Queste nomine così sistematiche, così fedelmente ortodosse, in beffa alla tanto blaterata democrazia.
Che la televisione pubblica sia un carrozzone in cui non si sa se sono più gli sprechi a le incompetenze professionali è un dato noto ed acclarato da tempo. Ma che si possa intervenire per porre qualche rimedio è purtroppo altrettanto indiscutibile. Accade anche in queste ore, quando l’uscente ad Fuortes ha comunicato un bilancio negativo di quasi 580 milioni di euro: si parla di inserire la Rai nella più complessiva e indispensabile revisione di spesa di cui il paese ha bisogno ed immediatamente si sono alzate le barricate. Senza ritegno è il caso di dire. Infatti, ci sarebbe da chiedere come sia difendibile un’azienda perennemente in rosso (e che rosso!) con oltre 12 mila dipendenti (assunti non si sa come) il cui costo sui ricavi incide per il 37 per cento (contro il 16 di Mediaset e il 7 di Sky) e che non riesce a mettere in piedi un format che non sia “importato” da altri palinsesti; per non parlare della piattezza e parzialità dell’informazione giornalistica.
Ma la Rai è intoccabile: così ai primi segnale di “spending review” scatta subito la contromossa, ovvero la minaccia di uno sciopero. Per salvare ovviamente gli stipendi milionari di conduttori fasulli e addomesticati (con in testa il silurato Fazio con la sua trasmissione, che in 5 anni ha raggiunto il costo record di 100 milioni di euro, come sostiene il Codacons poche ore fa) e di manager pavidi e incompetenti; insomma le lobbies, le caste e i clan (chiamiamoli come vogliamo) difendono solo il proprio potere e intendono continuare a sprecare milioni in servizi inutili come, ad esempio, le sedi regionali che non producono nulla e non servono a nulla.
Com’è facilmente constatabile, i programmi della televisione sono una zuppa seriale, nel senso che propongono dalle diverse reti i medesimi programmi, spesso ricavati (copiati) da emittenti straniere. Abbiamo così un tourbillon di fiction, quiz a premi, degustazioni culinarie a getto continuo, il tutto ispirato a un identico format. Tutto serve ovviamente per adddomesticare e cloroformizzare il pubblico, costretto d’altra parte a subire quello che passa il convento. Ora anche l’informazione per così dire politica si aggiunge alla torta comune: stessa ricetta e fette sempre piu grandi.
I programmi cioè sono gli stessi ma i risultati in termini di costi variano, cioè aumentano. Lo spostamento ad esempio dell”Arena” di Giletti su La7, che ha lasciato più spazio a quello storico di “Domenica In” condotto perennemente dalla Venier, ha prodotto questo risultato: gli utenti sono gli stessi di prima, anzi meno; sommando infatti i dati di ascolto dei due programmi a malapena si arriva al 10/11 % di share, mentre prima l’audience era intorno al 12/13.
La differenza sta nel fatto che ora le spese per questo intrattenimento sono state raddoppiate per la presenza di ospiti illustri dagli esosi cachet.
E si continua poi a parlare di “spending review”, che dovrebbe significare revisione ovvero economia di spesa, ma intanto la Nuova Comandante bionda spenderà e spanderà foraggiando i suoi nuovi cavalieri a Viale Mazzini.