“Donald Trump ha trasformato questo Paese in un campo di battaglia devastato da vecchi risentimenti e nuove paure. Pensa che la frammentazione lo aiuti. Il suo narcisismo è diventato più importante del benessere della nazione che guida. Chiedo a tutti gli americani: guardate dove siamo e ripensateci.”
Questo scritto di Joe Biden sembra fatto dopo i gravissimi avvenimenti del 6 gennaio scorso, cioè l’assalto alla Casa Bianca da parte di un folto gruppo di “rivoluzionari”, aizzati dallo stesso Trump, Presidente purtroppo ancora in carica fino al 20 gennaio prossimo, per evitare che il Congresso, all’uopo convocato, dichiarasse ufficialmente la vittoria di Biden, e lo invitasse ad effettuare le consegne e ad andarsene
Invece, Biden lo aveva scritto il 20 giugno scorso, in occasione della crudele morte di Flojd, il negro soffocato dal poliziotto bianco che gli strinse il collo per circa 12 minuti, e che lo stesso Biden definì poliziotto razzista.
Quello che è successo nel pomeriggio del 6 gennaio scorso è uno degli episodi più gravi che abbia sofferto la democrazia americana, da tanti considerata una delle migliori del mondo, ma sulla quale qualche perplessità è legittimo esprimere.
Prima di tutto perché, diversamente da quelle, certamente meno datate, di altri Paesi, specialmente qui in Europa, il sistema statunitense non ha, come ad esempio il nostro, i pesi e i contrappesi che lo rendono inattaccabile, difficilmente aggirabile, e poi perché, sempre citando la nostra, deriva da una esperienza indubbiamente disastrosa e traumatica come quella del fascismo, che aveva annullato le libertà individuali portando il paese verso il disastro della seconda guerra mondiale, dalla quale riuscimmo a risorgere solo grazie all’apporto proprio degli Stati Uniti d’America, e degli Alleati occidentali, e dai quali poi venimmo aiutati in tutti i modi a risorgere socialmente ed economicamente.
E sembra giusto che, come allora l’America corse in soccorso di tutta l’Europa e particolarmente del nostro Paese, oggi siano proprio la nostra Europa e l’Italia ad andare in soccorso della democrazia americana che mai come in questa occasione si è dimostrata così fragile e indifesa, come, in un precedente articolo pubblicato su questo giornale in data 8 gennaio, è stato bene evidenziato.
I fatti accaduti il 6 gennaio al Campidoglio statunitense sono stati ampiamente illustrati e commentati su tutti gli organi di stampa e nelle lunghe trasmissioni su tutte le reti televisive nazionali, ed hanno evidenziato una personale e diretta responsabilità proprio del Presidente ancora in carica, il quale oramai è una mina vagante pronta ad esplodere da un momento all’altro, ed è tanto più pericoloso in quanto detentore della famosa valigetta nera, della quale non può mai liberarsi, che autorizza il lancio delle testate atomiche.
Quando parlavamo dei pesi e contrappesi esistenti nelle altre democrazie, lo facevamo proprio per evidenziare che altrove, come ad esempio da noi, nessun organo governativo ha un potere così immenso e devastante; anche noi abbiamo partecipato a guerre, ma è stato sempre il Parlamento ad autorizzare il Presidente della Repubblica ad intervenire; come sia possibile che negli Usa ancora oggi un solo uomo sia dotato di un potere tanto grande da poter da solo decidere di scatenare una guerra termo-nucleare?
Questo è un argomento sul quale il Congresso degli Stati Uniti d’America dovrà intervenire per evitare che un altro folle, come quello che finalmente sta andando via, possa emularlo.
D’altronde, ciò che è successo il 6 gennaio è fuori dubbio che sia stato innescato proprio da Trump, il quale ha esplicitamente invitato i suoi sostenitori a invadere il Campidoglio, dopo di che per molte ore si è eclissato ed è stato introvabile anche da parte dei suoi principali collaboratori, tra i quali il suo vice.
Una persona a quel livello, se non fosse stato un folle, avrebbe dovuto non solo evitare che i suoi sostenitori giungessero a tali intemperanze, ma avrebbe dovuto fare un passo indietro accettando ufficialmente la sconfitta, tanto più che tutti i ricorsi e le azioni legali intentate sono risultate negative anche negli Stati a lui fedeli, sui Governatori dei quali ha pesantemente, ma inutilmente, influito, anzi gli hanno raccomandato di non insistere.
E fa riflettere che la ribellione sia rientrata solo quando la Guardia Nazionale è intervenuta, e non perché invitata dalla opposizione democratica, ma perché è stato proprio il suo Vice, Mike Pence, a farlo, dimostrando così un equilibrio che anche altri componenti del Governo Trump hanno mostrato.
E fa riflettere anche un altro aspetto, non tanto bene emerso pure nelle numerose ricostruzioni, e cioè come possa essere stato possibile che altri Organismi di sicurezza, come la Cia e la FBI, abbiano sottovalutato il pericolo che avvenisse un assalto al Campidoglio, nonostante le centinaia (si parla addirittura di migliaia) di messaggi che gli organizzatori della rivolta si fossero scambiati tra loro già da qualche giorno prima; sorge legittimo il dubbio che siano stati i responsabili di quei servizi, messi a quei posti proprio da Trump, a lasciar correre ed a fare orecchio da mercante.
E torniamo al solito problema, quello della mancanza di contrappesi all’enorme potere concesso al Presidente statunitense.
Ne può attenuare la sia responsabilità il suo tardivo riconoscimento della sconfitta, fatto poche ore dopo, quando ormai non poteva più farne a meno.
Un ultimo aspetto vogliamo evidenziare in questo pur breve commento, e cioè che in tutti i Parlamenti dei paesi democratici nessuno può accedere armato; in Italia, ad esempio, anche le Forze dell’ordine, se chiamate ad intervenire all’interno del Parlamento per qualsiasi emergenza, debbono entrare disarmate. Dal che la considerazione che i cinque morti ammazzati, che sono un ulteriore tragico bilancio degli avvenimenti del 6 gennaio, sono la ulteriore prova inoppugnabile che la “banda dei rivoltosi” autorizzata alla invasione, dovesse essere disposta a tutto, persino al delitto, ed è stato un vero miracolo che, in quel parapiglia, ci siano stati soltanto cinque morti.
Una conclusione finale è d’obbligo; ciò che è accaduto il 6 gennaio degli Usa è il frutto, la conseguenza, di un populismo esasperato di taluni personaggi, e anche qui in Italia c’è un esemplare, che genera solo violenza, e che non ha nulla a che vedere con la politica la quale, ha in se il criterio del dialogo, del confronto, magari anche aspro, ma dal quale si esce con una soluzione condivisa; nessuno può dire, in democrazia, toglietevi di mezzo che faccio tutto io, si tornerebbe inevitabilmente al regime dittatoriale, del quale conosciamo, non solo noi italiani, i danni che tantissimi hanno subito direttamente e che, a distanza di un secolo, ancora molti portano sulla propria pelle.