Lo sapevamo, e non da oggi: siamo uno strano Paese. Ci vogliono dare quattrini per far riprendere la nostra economia dal disastro del coronavirus, e noi siamo a discutere, a spaccare il capello.
Stiamo parlando del Piano di 750 miliardi di euro proposto dalla Commissione europea, che dovrebbe portare in dote all’Italia qualcosa come più di 172 miliardi di euro, di cui quasi 82 in sovvenzioni e poco meno di 91 in prestito. Cifre da capogiro, mai viste e sentite prima. Un’enormità, insomma. Altro che Unione Europea matrigna…
Vero è che il Piano in questione, “Next Generation Eu”, deve ancora essere approvato dal Consiglio europeo . E’ vero anche che potrebbero essere rivisti cifre, criteri di distribuzione e condizioni. Vero è che questi quattrini si cominceranno a vedere dal prossimo anno. E’ vero, è bene ricordarlo, che ci sono molti paesi, dall’Austria all’Olanda, ma non solo, che sul tema pongono non pochi ostacoli. Detto ciò, appare, tuttavia, indiscutibile sottolineare che nell’Unione la musica è cambiata da alcuni mesi a questa parte: il “Next Generation Eu” ne è la prova più evidente. E l’Italia, tanto per capirci meglio, è quella che dovrebbe ricevere di più rispetto a tutti gli altri Stati membri, viste le condizioni disastrose in cui il coronavirus ha fatto ancor più precipitare la nostra economia.
Certo, è previsto che i quattrini siano dati in relazione ai progetti che verranno messi in campo. Insomma, l’Unione ci chiede di spendere i miliardi in cambio di riforme strutturali, ad esempio nel settore della giustizia e della burocrazia (vere e proprie palle al piede anche della nostra struttura produttiva oltre che nella vita quotidiana di tutti noi), ed investimenti in settori strategici, dall’ambiente alle infrastrutture, dalla sanità all’innovazione tecnologica, dal mercato del lavoro al turismo, e così via. Per farla breve, l’Italia dovrà presentare nei prossimi mesi un piano per la ripresa, chiarendo come e dove investire i finanziamenti europei. E, ovviamente, precisando i tempi.
In tutta onestà, quello che chiede l’Unione Europea, per darci in più tranche i quattrini promessi, non sembra affatto scandaloso, anzi, è il mimino che possa e debba pretendere da noi come dagli altri che beneficeranno dei finanziamenti.
Messa così la faccenda, più che preoccuparci delle eventuali trappole dell’Unione Europea, evocando quel che è accaduto con la Grecia qualche anno fa, dovremmo piuttosto temere della capacità della nostra classe politica, tanto di maggioranza che di opposizione, di progettare il futuro, di immaginare l’Italia di domani. Sì, perché davanti a noi c’è un’occasione epocale, forse unica e irripetibile, quella di ridisegnare lo sviluppo del nostro Paese per i prossimi decenni.
Il timore, non solo dell’Unione europea, ma di qualsiasi cittadino italiano di buon senso, è che questi enormi capitali messi a disposizione del nostro Paese possano essere l’ennesimo occasione di spreco, di distribuzione a pioggia di risorse. Non essere, invece, utilizzati per cambiare la faccia alla nostra società, alla nostra struttura produttiva, alla nostra organizzazione pubblica. In altre parole, quella che sta per sorgere non è più la stagione dei bonus, ma quella degli investimenti mirati e di prospettiva.
La politica italiana è pronta, anche culturalmente, per questa sfida? I nostri politici saranno capaci di sforzarsi di guardare oltre il contingente e il proprio naso? Qualche dubbio, anzi, anche più d’uno ed anche abbastanza consistenti, noi ce l’abbiamo. Il dibattito e più ancora le polemiche di questi giorni sembrano confermare che il livello generale sia sostanzialmente basso, ma soprattutto pare esserci poca consapevolezza dell’importanza del momento.
Tanto per capirci, i partiti sovranisti ancora non sembrano avere piena contezza del fatto che un’epoca si è chiusa. L’Unione rigorista e gretta di pochi mesi fa è ormai alle nostre spalle. Certo, non mancano incomprensioni, difficoltà e diffidenze, ma l’aria è cambiata. I sovranisti, insomma, devono rimodulare la loro azione politica, confrontarsi sempre più sui contenuti, misurarsi sulla progettualità e indulgere meno, sempre meno, sulla propaganda spicciola antieuropeista, che fino ad ora è stata assai redditizia elettoralmente.
I partiti di maggioranza, invece, dovranno chiarirsi un po’ le idee e tentare, nel limite del possibile, di definire una linea comune su molti aspetti che oggi sono terreno di scontro e di grave impasse decisionale, quasi sempre dovuta a questioni di bandiera più che di sostanza.
Insomma, nel rispetto dei ruoli, la nostra classe politica dovrebbe confrontarsi sui contenuti e sulle prospettive di sviluppo. L’obiettivo comune dovrà essere la definizione di un grande piano di rinascita del nostro Paese. In un certo senso, fatte le dovute proporzioni e le inevitabili differenze, bisogna recuperare quello spirito di solidarietà politica e patriottica che caratterizzò i primi anni dell’ultimo dopoguerra. Quegli anni che, pur tra accesi contrasti e forti differenze politiche e culturali, e anche di paure e di violenze, portarono alla sconfitta del nazifascismo, alla nascita della repubblica e alla redazione condivisa della Costituzione.
Chiediamo troppo? Immaginiamo di sì. Abbiamo una classe politica, ma più in generale una classe dirigente capace di immaginare il futuro del nostro Paese, di elaborare un piano di ripresa per un nuovo miracolo italiano? Al momento, vedendo nel loro insieme gli attuali attori del palcoscenico politico nostrano, la risposta non può essere che sconsolatamente negativa.
Per questo, più che dell’Unione europea, dei vari Von der Leyen, Dombrovskis, Merkel, Macron e compagnia bella, dovremmo preoccuparci dei nostri rappresentanti politici.
Perché mai come oggi, il problema siamo noi, non è l’Europa.
31.05.2020. By Nino Maiorino. Ottimo articolo, lucido e sensato; come di consueto il Direttore Petrillo ha centrato il problema, accrescendo i timori che la nostra attuale classe politica non sia all’altezza di gestire una fase così delicata e complessa per il futuro del nostro paese, emergenza sanitaria a parte.
Conte sta dimostrando una certa concretezza, ovviamente legata alla situazione eccezionale che stiamo vivendo; speriamo che riesca a impostare una politica di lungo periodo, superando gli intralci che alcuni alleati di governo, pure di importanza minima, continuamente pongono.
Speriamo bene.