Sabato scorso, nel comprare il giornale, l’edicolante a bruciapelo mi ha chiesto quali erano le ragioni per cui c’era stato il cambio del vicesindaco al Comune di Cava de’ Tirreni. Ho cercato di glissare, ma l’edicolante ha insistito, dicendomi che lui non aveva compreso le ragioni e mi chiedeva lumi quale giornalista, in quanto, a suo dire, più addentro alle faccende della politica locale.
Il giorno dopo, mentre a Marina di Vietri gustavo in riva al mare il caffè con i soliti amici della domenica, mi è stata formulata la stessa domanda.
In tutta onestà, non credevo che la sostituzione di Nunzio Senatore con Enrico Polichetti suscitasse tanto interesse tra i cavesi non addetti ai lavori e, devo ammettere, anche tanto disappunto. In fondo, la figura del vicesindaco è abbastanza decorativa. In altre parole, la differenza la fa se sei o meno un buon assessore. L’aggiunta del ruolo di vicesindaco, in questo senso, non fa particolare differenza. A meno che, il vicesindaco non sia proprio una schiappa, uno poco presentabile.
Nel nostro Paese, tuttavia, anche ciò è assai relativo. Non dimentichiamoci, tanto per portare qualche esempio eclatante, che a presidente di una federazione sportiva come quella del calcio italiano ci sia stato fino all’altro ieri un analfabeta che bisticcia con l’italiano o che tra i candidati a premier ci sia un semi-analfabeta… Insomma, c’è poco da scandalizzarsi.
Torniamo, però, al nostro orticello. Lasciamo perdere le reali motivazioni di questa sostituzione, le quali risiedono nelle logiche della politica, nelle dinamiche di accordi pre-elettorali, che risultano indigesti e poco comprensibili per i comuni cittadini, ma costituiscono la normalità nei rapporti politici, e chi dice il contrario o afferma il falso o vive nel mondo delle favole.
Detto ciò, torniamo al disappunto dei cavesi sulla sostituzione di Nunzio Senatore. Mah, che dire, in proposito? Un bravo ragazzo, di sicuro. Un lavoratore, onesto e dignitoso, ma comunque politicamente un operaio, diligente e funzionale al progetto del sindaco Servalli, ma niente di più. Oddio, vero è che viene sostituito non da uno statista, ma da un altro operaio della politica, forse anche più modesto, tuttavia, non meno funzionale, soprattutto elettoralmente, al progetto Servalli.
Certo è che la sobrietà di Nunzio Senatore ora risalterà ancora di più. Sì, perché Polichetti, invece, pare affetto da una sorta di bulimia politica. Per farla breve, soffre di una specie di disturbo del comportamento determinato dall’ossessione di apparire, dalla spasmodica ricerca di guadagnare posizioni nell’onirica ascesa all’empireo, da una irrefrenabile smania di avere conferme identitarie. E forse per questo, come il bulimico alimentare ingurgita generalmente grandi quantità di cibo, il nostro genuflesso all’altare della visibilità fa ingestione di medagliette da appuntare al petto e patisce un convulso presenzialismo sia fisico che mediatico, a cominciare dai social dove ogni suo starnuto amministrativo viene suggellato da un post.
Peccato che tutto ciò, quasi sempre, avviene a scapito della qualità. E succede così, ma potrebbe essere altrimenti?, che il nostro confonde il folclore con la cultura, l’ordinario con i grandi eventi, i centimetri con i metri, il piccolo cabotaggio con la politica. Per dirla tutta, Polichetti spesso non si rende conto di essere in più di un’occasione il protagonista di una gara dell’effimero se non proprio dell’inconsistenza, tanto che persino l’albero di Natale e le belle luci natalizie del centro storico, ora pomposamente chiamato Borgo grande, diventa per lui una forse inconsapevole ma comunque patetica manifestazione di priapismo politico-amministrativo.
Una bulimia, dicevamo, che il nostro ha manifestato inequivocabilmente persino nel suo stucchevole e lunghissimo post successivo alla sua nomina a vicesindaco: mischiando sacro e profano, in un zibaldone di affetti e politica, ha ringraziato un po’ tutti, mancando all’appello forse il solo compare di cresima.
C’è solo da sperare che anche Polichetti cambi registro, insomma, che faccia un salto di qualità. In fondo, è furbo come una volpe e scafato come un vecchio politico. E bisogna riconoscergli la grande capacità di essersi fatto da solo, con pochi mezzi, anche culturali, ma con tanta buona volontà, determinazione, perizia, perseveranza e consapevolezza dei propri limiti.
Insomma, l’augurio sincero è che Polichetti non consideri questa nomina un traguardo, bensì una tappa di un percorso politico più virtuoso ed elevato. Approfitti, quindi, di questa opportunità per fare delle scelte di qualità. Cominciando a circondarsi, magari, di collaboratori che gli diano gli input giusti per crescere ed elevarsi, e non quelli buoni per promuovere sagre da paese o sfilate di ragazzine dai corpi sinuosi.
Il nostro, tutto sommato, è un giovane ambizioso, ma in politica ciò non è un difetto, anzi. A condizione, però, che oltre all’onestà, al rispetto delle regole e al senso delle istituzioni, ci sia qualità delle proposte e dell’azione politico-amministrativa.
A Enrico Polichetti, il quale forse un giorno mi ringrazierà per alcune di queste mie considerazioni malevole solo all’apparenza e che oggi potrebbe avvertire alla stregua di stilettate, vorrei proporgli di raccogliere una sfida e permettermi di formulargli un suggerimento.
La sfida che gli propongo è di riflettere, traendone poi le conseguenze, su una celebre frase di un politico a me particolarmente caro, Alcide De Gasperi: “Un politico guarda alle prossime elezioni; uno statista guarda alla prossima generazione”. Mettendo da parte il termine statista, del tutto fuori contesto, l’assunto degasperiano è il pretesto per dire a Polichetti che per lui è giunto il tempo di non fare solo incetta di voti, ma di cominciare a vedere oltre il proprio naso, di superare l’immediato. Insomma, a guardare oltre, a compiere scelte strategiche che avranno riflessi in avvenire. Per farla breve, la politica è l’arte sì del possibile, ma anche e soprattutto capacità, fatica di immaginare il futuro.
Oddio, nessuna pretesa che il nostro diventi uno statista, la qual cosa è assolutamente proibitiva (e non solo per lui, purtroppo), ma che almeno abbia sempre in mente l’insegnamento degasperiano quantomeno per riuscire a trarne profitto fosse anche solo per il dieci per cento.
Il suggerimento, invece, è far notare a Polichetti che la politica non è individualismo, bensì gioco di squadra. Per raggiungere obiettivi più qualificanti ed elevati occorre il supporto del contributo materiale e delle intelligenze degli altri. E la leadership in politica si guadagna sul campo, soprattutto con la capacità di mettere insieme, coordinare e valorizzare le più diverse competenze e professionalità, non certo promuovendo esclusivamente la propria persona. Il solipsismo in politica è una delle peggiori sventure e porta irrimediabilmente fuori strada, finanche alla rovina.
Detto questo, in bocca al lupo davvero di cuore al vicesindaco Polichetti. In bocca al lupo, però, soprattutto alla nostra città.