scritto da Filippo Falvella - 05 Aprile 2024 08:03

La boccia del pesce rosso

Non tutti gli animali sono dovuti sottostare alla necessità di un autocondizionamento, la presunzione di deviare il corso naturale delle cose appartiene quasi esclusivamente ai primati. Un pesce rosso può doversi adattare all'angusto spazio d'una boccia di vetro, ma è un necessario passo da fare per una migliore sopravvivenza

L’adattabilità è quella facoltà umana che gli ha permesso, seppur privo di artigli particolarmente affilati o di zanne sufficientemente potenti, di prevalere in una dimensione animale caratterizzata da una ferocia più fisica che mentale. Non è la creatura più forte a sopravvivere, ma quella più capace ad adattarsi al maggior numero possibile di contesti e situazioni. Ma tale adattabilità ha sempre fatto leva su un esterno condizionamento dell’esperienza, ben diverso sarebbe questo medesimo discorso se affrontato invece su un attivo ed interno condizionamento delle dimensioni naturali. In brevis, quanto efficace può essere l’adattarsi ad una condizione autoimposta?  E’ di norma buona educazione far seguire ad una domanda una risposta, che rappresenterà poi l’intento di questa breve trattazione.

Il pesce rosso

Non tutti gli animali sono dovuti sottostare alla necessità di un autocondizionamento, la presunzione di deviare il corso naturale delle cose appartiene quasi esclusivamente ai primati. Un pesce rosso può doversi adattare all’angusto spazio d’una boccia di vetro, ma è un necessario passo da fare per una migliore sopravvivenza. Un uomo invece dovrebbe sottostare a leggi ambientali dettate da sé stesso, e potrebbe dunque arrogarsi il diritto di lamentarsi delle dimensioni di quella boccia. Ma le lamentele richiedono tempo, e non sempre il tempo è una risorsa parallela alla possibilità. In un moto sociale che verte verso una maggiore lunghezza piuttosto che una maggiore larghezza, il senso del tempo ha modo di manifestarsi in una riduzione dello stesso per poterlo sfruttare in più aspetti e soprattutto in più momenti. L’attenzione che prima veniva riposta ad un qualcosa era determinata da una maggiore possibilità di dedicarsi a quella cosa, sia nello svago che nell’onere lavorativo. In un passaggio storico e soprattutto regale dove il tempo passa da essere sovrano a tiranno, la corsa dietro quest’ultimo, per sua natura irraggiungibile, diventa a tutti gli effetti un necessario adattamento evolutivo. Ma l’essere funzionale di un adattamento è anche per forza di cose necessario? All’utile corrisponde il giusto? Di fronte a tale quesito di matrice così Socratica potremmo interrogare lo stesso pesce rosso che prima ci sembrava star stretto nella sua boccia. I pesci rossi hanno in media una soglia dell’attenzione della durata di circa 0,9 secondi, un tempo così breve da suscitare ilarità considerando che l’uomo fino ai primi anni del 2000 disponeva invece di ben 12 secondi di piena dedizione ad uno stimolo, calato poi drasticamente a 8 negli ultimi due decenni. Un calo di addirittura un terzo del tempo totale è ovviamente un dato non trascurabile, ma sicuramente meno spaventoso di quanto sarebbe potuto essere qualche anno fa. Questo perché in termini abitudinari quei 12 secondi erano sempre meno necessari, considerando che le energie che adesso dedichiamo ad un qualcosa devono far fronte alla concomitanza di altre infinite cose: l’interesse, o meglio la necessità, è di portare a termine compito x, x1 e x2 nello stesso arco temporale in cui prima si poteva risolvere y. Le nostre capacità sono sempre relazionate a quelle che sono le nostre possibilità, uno sforzo inferiore è comunque un qualcosa di non troppo deleterio rispetto ad un obiettivo minore. Un pesce rosso per l’appunto, rispetto ai suoi mezzi, non ha bisogno di più di 0,9 secondi d’attenzione. Ma con l’uomo il discorso è ben diverso.

La boccia del pesce rosso

Le aspirazioni che con presunzione sentiamo essere nostri diritti piuttosto che nostri doveri mirano all’immortalità, ben più lunga di 12, 8 o addirittura 0,9 secondi. La praticità si sta traducendo in una sempre minore complicità tra sé e sé nell’agire in un’ottica futura. L’interesse che prima si poteva avere per un film e poi per una serie, dovendo così dedicare soltanto 20 minuti per una puntata piuttosto che 2 ore per una intera proiezione, è adesso voltata ad un video inconcludente di massimo 15 secondi. Non è il contenuto ad attirare ma il contenente, non è la qualità del prodotto ma la facilità e la velocità con la quale questo sia ottenibile. E proprio trattando di contenitori, a quella boccia il pesce rosso non può ribellarsi, perché gli è stata imposta da qualcun altro. Ma la boccia che stiamo costruendo per noi è invece un imprigionarsi da soli, ben diverso. Vogliamo davvero essere prigionieri d’una gabbia di nostra fattura? Vogliamo davvero poter fare più cose e dare sempre meno valore alle cose che facciamo proprio per la semplicità con la quale le portiamo a termine? La risposta probabilmente è no, ma un no può diventare azione solo se effettivamente sentito. Ed è difficile sentire un bene maggiore quando è rimbombante un comodo bene minore, una maggiore utilità rispetto ad una più alta necessità. L’adattamento è certamente utile, ma utile non deve per forza corrispondere a necessario. Le cose più necessarie nella vita sono spesso proprio quelle che poi nel pratico non servono a niente, perché sono le uniche verso la quale abbiamo una vera e propria scelta, un piacere e una sfera volitiva, basti pensare a quell’arte che anziché riempire lo stomaco riempie l’anima, meno visibile ma non per questo meno importante.

 

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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