E certo che sono controcorrente queste belle poesie di Fabio Dainotti!
In un’epoca (solo una fase[1] vorrei sperare, per quanto lunga) in cui la tendenza dominante è ancora quella di una “poesia” spoglia di significato, autistica, affidata atonicamente a vuoti segni, pretenziosi e ingannevoli quanto “I vestiti nuovi dell’Imperatore” nudo, del racconto di Andersen, la poesia di Fabio Dainotti è impressiva, evocativa, rappresentativa anche.
Ogni suo componimento è un quadretto di estrema vivezza: un incontro, un’emozione, una riflessione, un rapporto affettivo, un’ambientazione,sono fatti rivivere nella concretezza della loro effimera quotidianità ma con una valenza significativa che ci fa sobbalzare.
E’ la memoria involontaria alla Proust che rende così attuali, così interattivi gli episodi evocati: tratti dalla vita dell’autore, ci coinvolgono, li sentiamo nostri, “veri”.
Di quale verità? Di quella della poesia, la cui funzione è di rivelarci qualcosa che guardavamo con gli occhi d’ogni giorno, obnubilati dall’abitudine, e che non vedevamo.
Giustamente Carlo Di Lieto, nella postfazione, sottolinea che “il tessuto aureo di questo dettato poetico, è negli ascosi significati del rimosso” e che “l’intensità emotiva del verso è incontenibile”, generata com’è non da un referto razionale ma dalla pulsione del principio di piacere che li ha generati e che Dainotti, rielaborando freudianamente un processo primario, rigenera nel lettore.
Sì, è con genuino piacere che ho letto queste brevi poesie, nelle quali mi sono felicemente immedesimato per il tempo della lettura e poi, per un po’, a occhi chiusi.
Corrado Calabrò
[1] di glaciazione della cultura, come l’ha definita J. P. Aron.
Fabio Dainotti, Poesie controcorrente, Biblioteca dei Leoni, 2020