Nella città di Salerno, in stridente contrapposizione con le grosse costruzioni griffate dallo “star system” contemporaneo, nella sua paciosa espressività, vegeta, statuario e dimenticato, un bell’esempio di architettura italiana del secondo novecento, è la Chiesa della Sacra Famiglia di Paolo Portoghesi.
Posta nel rione Fratte, non tanto distante dagli svincoli autostradali, dai negozi, dalla velocità delle automobili e dal traffico, la Chiesa della Sacra Famiglia è un manifesto di quella corrente neo-modernista che intorno agli anni sessanta coinvolse altri architetti noti quali Gabetti, Isola, Raineri, Ridolfi e il primo Gregotti.
L’immagine che Paolo Portoghesi propone di sé nel panorama della cultura architettonica italiana è senza dubbio trasversale. Probabilmente più noto come storico e divulgatore che come architetto, Portoghesi comincia la sua stagione più produttiva dal punto di vista progettuale dalla metà degli anni sessanta, alla ricerca di un nuovo linguaggio capace di reinterpretare la lezione dei suoi maestri: Borromini, Bernini, Guarini.
La lezione Borrominiana dello spazio che “vive”, tra percorsi concavi e convessi come se pulsasse di un respiro proprio, è il risultato delle componenti che ritornano con frequenza nelle composizioni architettoniche di Portoghesi: la curvatura, le onde concentriche, la luce, il luogo, la materia.
La Chiesa della Sacra Famiglia è un progetto del 1968, la costruzione, alla quale collaborò l’ingegnere Vittorio Gigliotti, iniziò nel 1971 e fu completata tre anni dopo, fu voluta dai Padri Dottrinari che tuttora la reggono.
In pianta, lo spazio è raccolto intorno a sette cerchi, tre di questi appartengono all’interno dell’aula, i restanti circoscrivono porzioni dello spazio circostante. La tipologia fuoriesce dagli schemi tradizionali delle chiese cristiane, Portoghesi la reinterpreta convogliando l’attenzione sul punto dove sistema l’altare, in posizione vagamente centrale, illuminato dall’alto dall’apertura sulla cupola. L’esterno dà una concreta impressione di non finito, il cemento armato è ritmato dai segni delle casseforme e la cupola centrale a gradoni emerge dall’ambiguo volume privo di prospetti.
Guardare come si incastrano i cilindri e i coni delle pareti lascia sorpresi, Portoghesi mostra di possedere un’immaginazione e una capacità di governare le particolari suggestioni dell’ossatura certamente non comune e ciò che all’esterno sembra confuso e illeggibile, all’interno si tramuta in un linguaggio organico, complesso ma coerente.
Salerno, è triste dirlo, ha dimenticato la chiesa della Sacra Famiglia, oggi l’opera di Portoghesi intristisce: sommersa dall’abbandono e circondata da un giardinetto trascurato e triste. Un inutile cancello impedisce di girarci intorno completamente, mentre il salto di quota tra le mura perimetrali e il calpestio del cortile è diventato un ricettacolo di rifiuti. Alla silenziosa imponenza della chiesa, poetica e vagamente metafisica, si aggiunge così l’oblio degli uomini ai quali, probabilmente, apparirà come un ufo in pensione, atterrato e addormentatosi nel deserto culturale.
In una città oggi troppo distratta da nuove cattedrali, più promesse che reali, rumorose e appariscenti.
Christian De Iuliis
christiandeiuliis.it – @chrideiuliis