Per un po’ siamo stati tra quelli che, con l’arrivo prepotente di Renzi sulla scena politica nazionale, hanno immaginato la fine di quella transizione infinita, cominciata con il crollo della cosiddetta Prima Repubblica, più di venti anni fa, ormai.
Gli accadimenti delle ultime settimane, in particolare il voto di domenica scorsa al ballottaggio per le comunali, a Roma e Torino soprattutto, hanno mostrato invece che l’era Renzi si è consumata, anzi, bruciata in appena due anni, e che la transizione politica del post-tangentopoli continua e chissà per quanto tempo ancora. Il referendum costituzionale di ottobre, a meno che non ci siano accadimenti straordinari e miracolosi, sancirà tutto ciò. Ha, infatti, fin d’ora un destino già segnato, al di là del merito della questione. Sarà di sicuro, come e più che ai ballottaggi, l’occasione per aggregare in modo indistinto e contraddittorio tutto ciò che va contro Renzi e l’esito, ovvero la bocciatura della riforma costituzionale renziana, sarà pressoché scontata. Insomma, sarà la certificazione del voto popolare su una transizione politico-istituzionale tuttora in essere dopo un ventennio.
Sugli errori e le responsabilità di Renzi è stato detto tutto e il contrario, inutile, quindi, soffermarsi sul tema. E sulla prospettiva che il Movimento Cinque Stelle sia il più accreditato a vincere le prossime elezioni politiche, altrettanto si è detto e l’ipotesi, rispetto a poche settimane fa, è abbastanza credibile.
Il problema vero, però, a prescindere di chi succederà in un prossimo futuro a Renzi (ma non è affatto da escludere, considerata la giovane età e la sua incredibile energia, che sia proprio Renzi a succedere a sé stesso), è di capire quanta acqua dovrà scorrere sotto i ponti prima che il nostro sistema politico trovi un assetto stabile e riconoscibile, oltre che condiviso, dopo la confusione (berlusconismo, bipolarismo, bipartitismo, tripolarismo, diversi sistemi elettorali come mattarellum, porcellum, italicum) e l’instabilità di questi ultimi venti anni.
Molto probabilmente un aiuto in tal senso potrebbe venire solo da una scelta radicale, quale quella di eleggere con un sistema rigidamente proporzionale con voto di preferenza, anche multiplo, una nuova assemblea costituente, formata da non più di un centinaio di componenti, con il compito esclusivo di una revisione costituzionale in tempi ristretti, un anno o poco più, con successivo passaggio referendario confermativo. Un assemblea costituente, quindi, del tutto distinta, nei suoi componenti e nelle sue funzioni, dalla Camera e dal Senato. Una sorta di figura terza, non legata alla maggioranza di governo e al suo destino.
Per ora, una nuova assemblea costituente non compare nell’agenda politica delle forze politiche, interessate sì alla revisione costituzionale, ma piegandola agli interessi di bottega piuttosto che a quelli generali.
Nel frattempo, però, e l’esperienza riformatrice ma viziata di Renzi lo dimostra, il nostro sistema si avvita pericolosamente sempre di più tra propaganda, demagogia, improvvisazione, superficialità, approssimazione e perenne instabilità. Non sarebbe il caso per le forze politiche di mettere un punto fermo con regole il più possibilmente condivise e a garanzia della democrazia, della funzionalità delle istituzioni e degli interessi superiori del Paese? (foto Tiberio Barchielli- Palazzo Chigi)