scritto da Eugenio Ciancimino - 21 Giugno 2023 12:33

Giustizia, da Mani pulite a Mani libere per reati multiuso

Da “mani pulite” di “tangentopoli” a “mani libere” su reati multiuso: può essere il tema di un docu-film sull’ultimo trentennio di rapporti e scontri tra i Palazzi della politica e della giustizia.

Collassata la partitocrazia della prima Repubblica, per mano giudiziaria e per esaurimento di ideali, la stagione politica che ne è seguita, incamminandosi su un nuovo sistema di rappresentanza, è stata segnata anch’essa da un rinnovato iperattisvismo delle Procure nei confronti di pubblici amministratori e di figure emblematiche delle istituzioni.

Principale destinatario ne è stato Silvio Berlusconi, imprenditore divenuto leader politico e nuovo inquilino di Palazzo Chigi.

La sua parabola è stata scandita da avvisi di garanzia, il primo dei quali recapitatogli tramite veline filtrate ai media  dalla Procura di Milano a pochi mesi dalla sua elezione a Premier. Condizionata da oltre trenta procedimenti incardinati, di cui solo uno conclusosi con condanna passata in giudicato, la sua esperienza politica ed umana è stata segnata e macchiata dall’espulsione dal Senato, dove è ritornato dopo un periodo di riabilitazione.

Ma, come una sorta di mission, l’onda delle Procure ha investito anche membri di altri Governi indotti alle dimissioni a seguito di avvisi di garanzia anticipati dai media con relativi corredi di intercettazioni fuori contesto e con punte di discredito pubblico della vita e delle relazioni private dei destinatari: è accaduto con i Governi Prodi e Renzi, rispettivamente, con Clemente Mastella che ha lasciato il  Ministro della Giustizia e di Nunzia De Girolamo il dicastero dell’Agricoltura.

Nel  primo caso è andata in crisi anche l’intera compagine governativa. Sul punto si innestano motivi di riflessione politica e deontologica. Distanti da presupposti ideologici ed allargati anche al sistema degli enti locali e della pubblica amministrazione in genere, essi riguardano le ricadute di indagini costruite sulla sabbia, alla prova dei processi, oggettivamente politiche per quanto ha riguardato la vita delle istituzioni di governo e di ricambio della rappresentanza e funzionali alla interdizione dei poteri decisionali sia di natura elettiva che burocratica e corrosivi della reputazione dei relativi operatori.

Si capiscono le loro pregresse resistenze ad apporre la firma su atti a fronte di una vaghezza di normativa  interpretabile secondo lo schema del “così è se vi pare” della commedia pirandelliana. Si adatta, rientrando nell’attualità, al reato di abuso d’ufficio di cui nella mini riforma approntata dal Ministro Carlo Nordio è prevista l’abolizione rivendicata e condivisa in maniera bipartisan da Sindaci e Presidenti Regioni di diverso colore politico: c’è un sì alla cancellazione del Governatore della Campania Vincenzo De Luca che non condivide l’atteggiamento “vile ed ipocrita” del suo partito, il PD, e definisce “gossipari” il connubio media ed uffici giudiziari.

Di contro, vi è l’opposizione dell’Associazione Nazionale Magistrati, il sindacato delle toghe, che ritiene di mantenere in vita il reato, cosiddetto “spia”, perché funzionale alla individuazione di altri reati. Ma, a fronte di un 99% di indagati assolti nel 2021 ed all’archiviazione di oltre 4.600 procedimenti su più di 5.000 attivati vuol dire che il reato o non è sufficientemente motivato o non ha funzionato l’applicazione di una concezione fantasiosa o creativa del diritto penale.

Perciò, Sabino  Cassese, costituzionalista e membro emerito della Consulta, in una intervista rilasciata al Quotidiano Nazionale, rivolgendosi all’ANM e singoli magistrati chiede di “spiegare quanto i loro interventi sono nell’interesse della Giustizia e quanto invece a difesa delle proprie mani libere”. Tradotto può voler voler dire fino a che punto la resistenza togata intenda conservare un esercizio di interdizione già praticato rispetto ad un potere politico indebolito e spesso ricattabile.

Si preannunzia uno scontro epocale di ribaltamento dei punti di forza, perché Palazzo Chigi conta su una maggioranza politica autosufficiente e non intende sottoporsi – precisa il sottosegretario Alfredo Mantovano – “alla dettatura della magistratura associata” sugli indirizzi di legislazione che spettano al Governo scrivere e sottoporre al Parlamento.

“Non sono ricattabile” è stato l’avvertimento di Giorgia Meloni, appena ha fatto ingresso a Palazzo Chigi, rivolgendosi ai poteri extra politici e non confortati da mandati popolari.

Resta nel mirino.

Buon braccio di ferro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.