Il riciclo per salvare il pianeta
Questa parabola, pubblicata su “il Venerdì” di Repubblica del 19 luglio scorso, ci ha molto colpito e ci ha fatto molto riflettere; principia da una lettera che una lettrice ha indirizzato a Michele Serra, e che trascriviamo interamente omettendo il nome dell’autrice.
“Caro Michele, le racconto come una grande lezione di vita mi sia arrivata in un attimo e in un luogo inaspettati.
Passeggiavo in un suq di Marrakech, stupita e affascinata dai colori, suoni e profumi che mi avvolgevano.
Avanzavo con due sandali rotti – che mi ero ripromessa di buttare appena ritornata nell’ordinato mio mondo – quando un ciabattino, nell’angolo del suq dei ciabattini comincia a chiamarmi e a gesticolare fino ad attirare la mia attenzione. In francese e in inglese, accompagnandosi con gesti eloquenti, mi dice che i miei sandali sono rotti e vuole aggiustarli.
La mia immediata reazione, anche un po’ infastidita, (tic tipico di noi occidentali) è stata quella di fargli capire educatamente (forse altezzosamente?) che non ne valeva la pena.
Sbalordito dalla mia risposta, mi ha replicato che il sandalo era di buona fattura, era di pelle e poteva essere riparato e non andava buttato.
In quel momento i nostri due mondi si sono messi a confronto: io, occidentale, avevo già pensato che il mio ciabattino di città, se gli avessi mostrato quei sandali, li avrebbe buttati nella grande pattumiera – quella che contiene tutti i nostri scarti occidentali – dicendo che non ci metteva né mani né tempo.
Lui, il ciabattino marocchino, era pronto a metterci mani e tempo.
Glieli ho quindi consegnati, ci ha lavorato per più di mezz’ora – lasciandomi scalza su dei cartoni, così non appoggiavo i piedi a terra – con un’abilità, una manualità e un mestiere incredibili, rimettendoli a nuovo per la cifra (rigorosamente contrattata) di euro 20.
I sandali sono ancora vivi e vegeti nel mio armadio, occidentale, pronti all’uso.
Quanto ci dice questa storia di come siamo diventati, di quanta poca attenzione prestiamo al riuso, e come siamo disattenti a limitare lo spreco.
Nel mio piccolo stavo contribuendo a distruggere il pianeta. Si lo stavo facendo con quei due insignificanti sandali, per il principio della goccia nel mare, mentre scegliendo di dargli fiducia lui si è guadagnato 20 euro (200 dirham marocchini) io ho evitato di buttarli: che movimento virtuoso si è generato da un piccolo gesto.
Dobbiamo correggerci, ma non abbiamo (*) ancora la forma mentis per farlo imbevuti, come siamo, di una (falsa, peraltro) idea di benessere che ci rende distratti… fino a quando un ciabattino in un suq ci aprirà occhi, mente e cuore.
M.A. M.
(*) Sarebbe meglio dire che abbiamo perduto la forma mentis…
Dalla risposta di Michele Serra (che si può leggere per intero su il Venerdì di Repubblica del 19 luglio 2024) estrapoliamo due concetti molo semplici.
Il primo è che in vacanza molti di noi entrano in contatto con pezzi di mondo molto diversi dal nostro, o meglio molto simili a come eravamo noi due o tre generazioni fa.
Il secondo è che ognuno di noi ha sandali, cibo o vestiti e sta per buttarli via, e il riciclo è sempre la soluzione migliore per l’ambiente e anche per la nostra salute sociale, e che la sede più vicina della Caritas e di altre benemerite organizzazioni sociali che si occupano di questo minuto eppure fondamentale traffico, dovrebbe essere uno dei “negozi” più frequentati, perché molti degli oggetti che portiamo in discarica possono trovare nuova vita in casa d’altri.
Per scrivere a Michele Serra: lapostadiserra@repubblica.it o Il Venerdì, via Cristoforo Colombo 90 00147 Roma