Giuseppe Conte, il novello Orlando furioso della politica italiana
“Per amore venne in furore e matto, d’uom che sì saggio era stimato prima”.
Questo verso dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto mi è venuto alla mente l’altro ieri sera, nel più inconsueto e inimmaginabile Venerdì Santo, nel vedere in tv la conferenza stampa di un irato premier Conte.
Oddio, più che l’amore, a rendere infuriato il nostro presidente del Consiglio è stata l’insofferenza, forse il rancore se non addirittura l’odio (politico s’intende) per Salvini e Meloni. Fatto sta che Conte, sbagliando non poco ed abusando del ruolo istituzionale ricoperto, ha sclerato di brutto, a prescindere se a torto o a ragione.
E’ venuto fuori un altro Conte: non più il paziente mediatore tra i vari mal pancisti dei partiti della sua debole maggioranza o il fine giurista sempre elegante non solo nel vestire, ma anche nei modi, e moderato nei toni.
“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto” scrive ancora l’Ariosto nel suo Orlando furioso. E ci tocca così raccontare di un altro Conte. Abbiamo, in breve, conosciuto un Conte quasi traviato, forse quello vero: irritato, nervoso, aggressivo, pugnace, ma anche un comiziante con sembianze da capopopolo.
Confesso di essere tutt’altro che un ammiratore di Giuseppe Conte, ritenendolo più che altro un trasformista e men che mai uno statista. Di sicuro un arrivista inchiodato alla poltrona dov’è seduto per un favorevole e fortunato allineamento di pianeti, che solo la politica italiana è capace di produrre.
Detto questo, però, neanche possiamo essere ingenerosi nei suoi riguardi. Sta facendo del suo meglio in una situazione inedita ed irta di difficoltà, avvalendosi di una compagine nel suo insieme modesta e in più di un caso finanche scadente, ma anche con l’appoggio di una maggioranza non ampia e più che altro mal assortita.
Insomma, Conte è sostanzialmente solo. E visibilmente stressato. Costretto com’è a mediare quotidianamente all’interno del governo e della maggioranza, oltre che con le varie parti sociali, primi fra tutti sindacati dei lavoratori e quelli degli industriali e del commercio. Impegnato, poi, in un confronto duro e serrato, che a volte si trasforma persino in uno scontro, con l’Unione europea che, di fatto, non brilla in solidarietà politica oltre che umana. Una situazione complessa e pesante, quindi, che logorerebbe anche la biblica sopportazione e la proverbiale pazienza di Giobbe.
Questo non impedisce di notare le cose che non vanno. A cominciare dal fatto che il Governo Conte procede troppo a tentoni, in modo spesso confuso e in qualche caso approssimativo. E con la politica –quindi, ministri, partiti e parlamento- sempre più relegata in retrovia per far posto agli esperti, chiamati non tanto a dire la loro ma a decidere in funzione surrogatoria della politica. Ecco allora il comitato tecnico-scientifico sulla fine del lockdown, la task force sull’avvio della cosiddetta “fase due”, ma anche due, dico due, commissari per l’emergenza sanitaria, Borrelli e Arcuri, ed ora uno, Colao, per avviare la ricostruzione.
Il risultato è che la politica si fa da parte ed appalta ad altri le effettive decisioni per non assumersi le responsabilità.
E’ altrettanto poco chiara la trattativa con l’Unione europea. Conte si ostina a sostenere che è per i famosi eurobond, ma, nel frattempo, ha siglato un accordo con gli altri leader europei in cui, per volontà olandese e soprattutto tedesca, questo strumento finanziario non è affatto contemplato. E sul Mes, il Fondo salva Stati, i Cinque Stelle, contrari senza se e senza ma, e il Pd la pensano del tutto diversamente.
Insomma, quale sarà la linea del Governo Conte sull’accordo che dovrà portare l’Unione europea ad aiutare e sostenere finanziariamente le economie dei vari paesi, tra cui soprattutto il nostro, debilitate dal coronavirus? Un mistero.
L’unica certezza che la politica italiana è capace di dare è quella di frammentarsi, dividersi sempre più, scavando un solco sempre più profondo tra maggioranza e opposizione. Eppure mai come adesso bisognava lavorare insieme pur nella distinzione dei ruoli. Occorreva una sorta di cabina di regia condivisa, dove il governo con cadenza periodica si confrontava con le opposizione sul da farsi per il bene comune. Mai come adesso rispetto agli altri leader europei serviva dare un’immagine di unità. Condividere, nel rispetto dei ruoli, scelte e responsabilità, e poi tutti dietro al premier per dargli forza contrattuale sui tavoli europei.
Così non è stato. Di chi la colpa? Di Conte? Di Salvini e Meloni? Dei Cinque Stelle o del PD? Magari si potessero circoscrivere le responsabilità a qualche parte politica. La verità è che la nostra classe politica, nel suo insieme, ha perso un’altra occasione per mostrarsi all’altezza dei tempi difficili che stiamo vivendo. Ancora un volta i nostri attuali politici hanno messo in mostra un’ormai cronica oltre che pronunciata ed irrefrenabile vocazione al tafazzismo. Altro che senso di responsabilità, delle istituzioni, dello Stato.
Con questo fardello, oltre al coronavirus, dobbiamo solo sperare di salvarci in qualche modo, visto il futuro per nulla roseo che ci aspetta.
In ogni caso, tanti cari auguri di una serena Pasqua.