Caccia all’errore
Viene da chiedersi, con lo smarrimento che aumenta ogni giorno di più, chi è in errore: chi parla a vanvera pur di dire qualcosa, o chi si aggrappa ogni giorno – disperatamente – alla speranza della ragione?
Riceviamo e pubblichiamo
Neppure il tempo di ufficializzare la candidatura alle prossime elezioni europee, ed il generale Vannacci si iscrive subito al partito che sta facendo registrare – oramai da qualche tempo – un grandissimo successo: quello di chi prima dice quello che vuole e fa quello che gli pare, salvo poi chiarire, interpretare, smentire e – se del caso – minacciare e sporgere querele.
Il candidato della Lega, generale Roberto Vannacci, intrattenendosi sul tema dell’organizzazione del sistema dell’istruzione scolastica, avrebbe dichiarato che “i disabili vanno divisi in base alle loro capacità: credo che classi con caratteristiche separate aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare”.
Insomma, il generale Vannacci sostiene necessario un ritorno alle terribili classi differenziate (qualcuno le chiamava anche “differenziali”) che esistevano decenni or sono, quando chi scrive frequentava la meravigliosa “scuola elementare” (ora si chiama scuola primaria), arricchita dagli straordinari educatori, maestre e maestri unici sia perché hanno davvero “lasciato il segno”, sia perché da soli riuscivano a formare e preparare alla vita classi formate anche da quaranta bambini.
In disparte il merito della questione, che in realtà è un penoso “demerito”, sul quale qualsiasi persona mediamente avveduta non può che essere in pieno disaccordo – come manifestato, peraltro, anche da esponenti di primo piano della stessa Lega a partire dal Ministro dell’Istruzione e del Merito – vale la pena, a mio parere, soffermarsi su alcuni aspetti della vicenda che si iscrivono nel tema più ampio della “qualità” dell’attuale offerta politica.
Venuti meno da molti anni i partiti – che piaccia o no – “veri” che animavano quella che molti chiamano “prima Repubblica”, venuto meno il modello sostitutivo del partito personale – come il “Berlusconismo”, per intenderci – siamo oggi alle prese con i politici che fanno a gara a chi “la spara più grossa”.
Suscitare l’attenzione e le reazioni della gente ad ogni costo; non ha alcuna importanza in quale modo ciò si verifichi, ciò che conta è far parlare di sé.
Tanto, poi, c’è la smentita.
Neppure il coraggio, quindi, di sostenere le proprie idee, ma solo quello di urlare qualcosa di scuotente, nella maniera più traumatica possibile.
Forse perché non ci sono idee, non ci sono contenuti; forse perché non c’è neppure il senso del limite, come se tutti quelli che si candidano alle cariche pubbliche – ma anche quelli che già rivestono importanti ruoli istituzionali – siano convinti di essere ancora bambini, ai quali si perdona tutto.
Nessun rispetto per il ruolo che ricoprono, nessuna assunzione di responsabilità: tanto, è sufficiente lamentarsi il giorno dopo – anche solo dopo qualche ora – di essere stati fraintesi, di aver subito la“decontestualizzazione” della frase, di essere destinatari di un insopportabile pregiudizio!
Incompresi e perseguitati, quindi, i nostri politici – quelli già in sella e quelli che vorrebbero salirvi – vittime della cattiveria di chi, suo malgrado, prova a farsi guidare dal buon senso.
Ciò che spaventa è che è possibile che molti, nella solitudine e nel silenzio dell’urna, sostengano questi novelli statisti, compiangendoli perché vilipesi, immaginando che questo sia il destino di tutti gli esseri superiori, dotati di una visione dalla quale sono esclusi i comuni mortali.
Viene allora da chiedersi, con lo smarrimento che aumenta ogni giorno di più, chi è in errore: chi parla a vanvera pur di dire qualcosa, o chi si aggrappa ogni giorno – disperatamente – alla speranza della ragione?
Maurizio Avagliano