Il Giorno del Ricordo delle foibe tra comunisti, Servalli e fascisti
In occasione del Giorno del ricordo delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano–dalmata abbiamo pubblicato due interventi che si segnalano per la loro carica fortemente divisiva, quelli di Rifondazione Comunista e del Partito Comunista.
Riepiloghiamo gli antefatti. Una decina di giorni fa, Italo, giovane rampollo dell’onorevole Edmondo Cirielli e neo consigliere comunale di Fratelli d’Italia, aveva formulato la proposta di intitolare i giardini adiacenti la stazione ferroviaria di Cava de’ Tirreni, su Corso Principe Amedeo, alla vittime delle foibe, in occasione della Giornata del Ricordo, che si festeggia da qualche anno il 10 febbraio.
E proprio nel pomeriggio di mercoledì scorso 10 febbraio, con un comunicato stampa il sindaco Servalli, per i maligni molto sensibile ai desiderata di Cirielli, aveva annunciato di aderire alla proposta dell’intitolazione alle vittime delle foibe.
Apriti cielo! I comunisti, almeno quelli che ancora restano in circolazione, hanno reagito alla cosa in malo modo.
Il Partito Comunista, in verità, si è superato con un armamentario che credevamo sepolto dalla storia e dai mattoni del Muro di Berlino. Si è letto così che “dietro le celebrazioni del Giorno del Ricordo c’è un processo di revisionismo storico e revanscismo nazionalista che va avanti da anni e di cui sono sostenitori tutti, dalla sinistra borghese alla destra nazionalista”. Ma anche di “accomunare un eccidio studiato a tavolino (quello fascista ai danni della comunità Jugoslava) con una rappresaglia di guerra impossibile da decontestualizzare”.
E Servalli e i suoi, che hanno davvero altro cui pensare, sono accusati di “appoggiare in maniera così miope una gigantesca operazione tesa ad amputare un’intera storia per semplificarla e ridurla al nulla”… tanto che i comunisti promettono di non poter “mai neanche condividere un caffè con questa sinistra che appoggia e favorisce la destra sociale e i suoi rigurgiti nazionalisti”.
Addirittura!? E che diamine! Dal sindaco Servalli mi aspetto di tutto, ma di stare in combutta con la destra sociale (ma questa destra è così poi tanto politicamente vituperabile?) e i suoi rigurgiti nazionalisti proprio no. Se è così, al nostro Sindaco andrebbe consigliato qualche pasticca di Lansoprazolo, al mattino, a stomaco vuoto, mentre un po’ di Maalox ai comunisti andrebbe bene.
Rifondazione Comunista, altrettanto contraria alla intitolazione, ci è andata più leggera, lamentando che “parlare di foibe decontestualizzandole da un preciso riferimento storico e territoriale vuol dire solo fare revisionismo falsando così la storia”. Evidenziando, però, che “il giorno del ricordo ha un suo significato quando ricorda tutte le vittime di violenze, odio, vendetta di un regime dispotico che nell’aprile del 1941 invadeva la Jugoslavia”.
Bah, sarà, ma mi riesce difficile comprendere come ricordare le vittime delle foibe possa, anche lontanamente, significare alleggerire se non addirittura estinguere le responsabilità storiche e politiche del fascismo.
Bene, in tutta onestà, ricordare ed onorare le vittime delle foibe penso che sia un dovere e un monito per tutti, a cominciare dalle nuove generazioni. E come ha scritto Gianfranco Pagliarulo, Presidente nazionale ANPI, in una nota diffusa dal Gruppo Consiliare Città in Comune Cava de’ Tirreni, bisogna guardare “senza alcuna reticenza all’orrore delle foibe e alle sue vittime e, assieme, al dramma dell’esodo di tanti italiani. Guardiamo con compassione e rispetto a tutti gli innocenti colpiti da questa immane tragedia”.
C’è poco da decontestualizzare. Le rappresaglie delle truppe titine, di cui furono vittime migliaia di italiani, furono la coda dell’aggressione fascista subita dalla Jugoslavia nella seconda guerra mondiale. Altro che revisionismo storico. Ciò non toglie che patirono una sorte atroce e assurda migliaia di nostri connazionali, barbaramente infoibati per la sola colpa di essere italiani e quindi, a torto o a ragione, associati al regime fascista e alle sue violenze. E altrettanto feroce ed esecrabile fu la violenza con cui migliaia e migliaia di italiani giuliani-dalmati furono strappati alla loro terra e costretti a trovare, tra enorme sofferenze e dolore, riparo nella madrepatria.
Di fronte a queste vittime, così come a quelle della Resistenza, e di quelle in generale della follia nazi-fascista, che portò agli orrori e alle devastazioni del secondo conflitto mondiale, bisogna senza infingimenti e retropensieri rendere loro onore e ricordarle. E’ questo, infatti, l’unico modo per costruire la pace ed un mondo migliore.
Continuare, a distanza di più di settant’anni, a dividerci sui nostri morti, non ci porta lontani e non ci fa bene. Rispolverare antichi rancori e riaprire vecchie ferite è, in fondo, il modo migliore per seminare odio, non certo tolleranza e rispetto.
Insomma, impariamo a rispettare le idee altrui, pur combattendole, fin quando esse sono all’interno del perimetro della democrazia e delle libertà costituzionali.
E prendersi un caffè insieme non lo si nega a nessuno (compreso Servalli e i suoi), a meno che non siano criminali o pervertiti. Accertati, però, con tanto di attestazione con bollo.
Anche perché con lo strafare si rischia di passare sull’altra riva del fiume. Come evidenziava un po’ di anni fa uno scrittore come Leonardo Sciascia: “Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere (e ne raccomandiamo agli esperti la più accurata descrizione e catalogazione) è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è”.