Si può parlar male di una città senza parlar male di una città? Ma soprattutto senza parlare male dei suoi abitanti?.
E’ questo l’interrogativo che aleggia, rimanendo infine inevaso, leggendo “A Salerno – Psicologia insolita di una città sospesa” (Giulio Perrone editore, 2022), libro dedicato alla sua visione della città da Corrado De Rosa, che prima del successo di “Quando eravamo felici” (Minimum Fax, 2023), si era lanciato, durante l’emergenza post-Covid, nel racconto dei luoghi e dei personaggi della provincia campana dove è nato e vive.
“A Salerno” introduce nella letteratura personale di De Rosa, dopo saggi e gialli, il genere dell’autobiografia malinconica, un memoir coniugato ad episodi in giro nei posti più caratteristici della città. Una sorta di diario dei ricordi che si mescola alla storia di Salerno, fatti veri e quasi veri, e che scava fin dentro la storia della Scuola Medica Salernitana ma anche, più prosaicamente, nella cronaca dei locali della movida degli irripetibili anni ottanta e novanta.
E’ proprio quello il periodo che De Rosa, classe ‘75, conosce più a fondo. Dalle trasformazioni urbanistiche della città, alla moda dei paninari, passando per una galleria di personaggi, singolari, spesso matti (l’indimenticato “Spic & Span” tra gli altri) che collocano Salerno in un limbo tra il grottesco e il familiare. Un luogo sempre in bilico tra efficienza e indolenza, tra essere settentrionali del sud o meridionali del nord (dipende se provieni da Novara o da Palermo), cosmopolita o provinciale. Tra il trapasso e la resurrezione. Dove “l’inverno dura tre mesi, da gennaio a marzo, ma in quei tre mesi piove sempre”.
Una città che si svela più sinceramente tra i vicoli del centro storico, custode di misteri inconfessabili e personaggi da romanzi “Segretissimi”.
Di De Rosa va detto che ha sempre il grande merito di scandagliare una bibliografia enorme, di appoggiarsi a fonti letterarie e scientifiche e di saper mischiare l’«alto» e il «basso», restando credibile e senza smarrirsi nel sottobosco degli aneddoti personali. Non stupiscano quindi i salti (carpiati se non «mortali») da Alfonso Gatto a Claudio Grimaudo, da Saverio Natella al cane Filippo, da Mario Carotenuto a Luisa “La ribelle”.
Si apprezza, tra le altre cose, lo sguardo da psichiatra che De Rosa punta sulle architetture della città, valutazioni che minano alle fondamenta qualsiasi teorema del popolo degli architetti, come nel caso del “Crescent” l’edificio a forma di ferro da cavallo recentemente innalzato sull’area di Santa Teresa, “un coacervo di simboli massonici”, “un miracolo di architettura pleistocenica”. O sulla cittadella giudiziaria di David Chipperfield “…vagamente art Decò. Se la guardi di notte mentre diluvia, per certi versi appare neogotica”.
Ma siccome Salerno non è New York, si ripassa inevitabilmente dal prosaico. Preferendo argomenti “da bar” come le Luci d’artista (“Luci da elettricista sarebbe meglio”) o il calcio “che se uno nasce tifoso della Juventus da tutto per scontato (mi permetto di dissentire, NDA). Se nasce tifoso della Salernitana, ogni punto della vita se lo deve conquistare”, tema che De Rosa, tifoso immarcescibile, dimostra di maneggiare decisamente bene.
Ma ogni disputa è pretesto per sottolineare un difetto e al tempo stesso esaltare un pregio, finché si scopre il principio alla base del libro, che De Rosa insinua nell’arringa finale, ma che in sostanza è la leva che lo spinge a scriverne: la “Reductio ad Salernum”. Quella sete di egocentrismo che fa considerare Salerno il centro del mondo, qualsiasi cosa stia accadendo altrove.
Una forma para-patologica che riporta Salerno alla sua dimensione provinciale ma amabile, dalla quale vuoi scappare da giovane e dove vuoi tornare da adulto.
“A metà strada fra la terra e la luna c’è un posto chiamato Salerno, è l’ombelico del mondo”.
Il salernitano, al quale è vivamente raccomandata la lettura del libro, troverà tra le pagine molte conferme e altrettante omissioni. Perché la città è materia delicata e mutante ed ognuno di noi ne ha una visione differente. Resterà perplesso per qualche osservazione faziosa e, allo stesso tempo, si celebrerà di cotanta storia e gloria.
E, a mio parere, non si offenderà.
A Salerno è così.
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