Scuola e Covid: siamo alle solite
Scuola e Covid: siamo alle solite
Chiusa e poi riaperta, Dad e poi banchi distanziati, isolamento e poi il ritrovarsi con un nuovo equilibrio. La transizione di questo inizio anno ci ha fatto apprezzare con più evidenza il valore del tempo trascorso tra i banchi: un tempo vitale che ripercorriamo anche attraverso la nostra letteratura. Tuttavia, finite le vacanze natalizie la scuola avrebbe dovuto riaprire le porte a bambini e ragazzi ma ciò che si sono nuovamente riaperte sono le polemiche politiche a causa dell’incremento dei contagi da Covid.
Molti conoscono il valore della scuola, ma solo oggi emerge con forza il significato di non-scuola, non-studio, non-aggregazione e non-libertà.
Luogo di luci e ombre capace di agggregare ma anche di dividere, di mettere in risalto possibilità e limiti. Un luogo vitale. Un roveto di sentimenti che non poteva passare inosservato agli animi piu sensibili, quelli degli scrittori, presenti e passati, che hanno affrontato il tema della scuola da molti punti di vista, ricordando al lettore cosa di grande può scaturire da un posto piccolo così.
La narrativa italiana del primo Novecento è intrisa di ispirazioni al ben noto Pinocchio di Carlo Collodi, che ha reso l’istituto scolastico un luogo da favola macabra e di prigionia. Poi, quando la scuola si è evoluta anche i temi sono cambiati, di certo, rimanevano i “fannulloni” e quelli “bravi”, i bambini da punire e quelli da lodare. Gli asini, e gli studenti modello.
Tra la banda di sfaticati c’era anche Daniel Pennac, il cui nome viene ormai associato alle storie che parlano di scuola dal punto di vista di chi la vive, di quelli che non hanno voglia di studiare e che preferiscono scaldare la sedia, o tirare palline di carta ai compagni. Pennac non li vuole punire, ma vuole dare loro nuova dignità descrivendoli a partire dal molo dell’istituzione scolastica, dei genitori e della famiglia, della TV e dei media.
Delle scuole elementari parlava anche il maestro Marcello D’Orta che dall’entroterra situato a nord di Napoli, i bambini raccontano con innocenza, umorismo e dialettalismi la loro vita di tutti i giorni, compresi fenomeni quali la camorra, il contrabbbando e la prostituzione. Un dipinto del disagio socio-economico del sud dove lo Stato è spesso assente o corrottto e dove solo i bambini sembrano poter dare un po’ di colore, sperando che, almeno loro, se la cavino.
Forse però non esiste una scuola migliore, forse l’importante è poter scegliere la propria scuola e fare il primo passo verso il cambiamento.
Scegliere. Scegliere di studiare come tutti, oppure farlo in modo diverso, come il protagonista del romanzo di Paola Mastrocola, Gaspare Torrente, figlio di pescatore e aspirante latinista, capace di tradurre Orazio a soli tredici anni e deciso a dimenticare il piccolo mondo dell’isola per fare il liceo. Ma è proprio questa nuova realtà che lo farà sentire un pesce fuor d’acqua, un diverso perché troppo bravo, costretto a fare cose che non vuole solo per piacere agli altri. Ma tutto ciò potrà avvenire se la scuola sarà sempre aperta.