Giustizia, il Senato approva la riforma Nordio: in primavera il referendum
Il testo, approvato in quarta lettura senza modifiche, non avendo raggiunto la maggioranza dei due terzi, sarà sottoposto a referendum confermativo nella primavera 2026
Con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni, il Senato ha dato il via libera definitivo alla riforma costituzionale sulla separazione delle carriere in magistratura, promossa dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e sostenuta dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Il testo, approvato in quarta lettura senza modifiche, non avendo raggiunto la maggioranza dei due terzi, sarà sottoposto a referendum confermativo nella primavera 2026.
Meloni ha definito l’approvazione “un traguardo storico”, mentre Nordio ha annunciato che si impegnerà personalmente per sostenere il “sì” al referendum, avvertendo la magistratura di non trasformare il voto popolare in uno scontro politico. La riforma, secondo il governo, punta a rendere il sistema giudiziario più equilibrato e vicino ai cittadini.
In Aula, il clima è stato teso. Il senatore M5S Roberto Scarpinato ha criticato duramente la narrazione secondo cui Berlusconi e altri esponenti del centrodestra sarebbero stati vittime di persecuzioni giudiziarie, scatenando proteste dai banchi di Forza Italia e l’intervento del presidente del Senato La Russa per ristabilire l’ordine.
Fuori dal Parlamento, Forza Italia ha celebrato il voto con una manifestazione in piazza Navona, esponendo immagini di Silvio Berlusconi ed Enzo Tortora come simboli di una giustizia da riformare.
“È una vittoria storica”, ha dichiarato il viceministro della Giustizia Paolo Sisto.
Le reazioni restano polarizzate. L’Associazione Nazionale Magistrati ha accusato il governo di voler “asservire” la magistratura, mentre l’Unione delle Camere Penali ha salutato la riforma come un passo verso una giustizia più imparziale e rispettosa delle garanzie costituzionali.
Il referendum confermativo sarà ora il banco di prova decisivo: la parola passa ai cittadini.
La modifica riguarda il Titolo IV della Costituzione e comporta importanti cambiamenti nell’assetto della magistratura.
La principale novità è la nascita di due percorsi professionali distinti: giudici e pubblici ministeri accederanno a carriere separate tramite concorsi dedicati. La nuova formulazione dell’articolo 104 specifica che la magistratura è composta da due ordini: giudicante e requirente.
Contestualmente, il Consiglio superiore della magistratura (CSM) viene sdoppiato in due organi autonomi: uno per i giudici e uno per i pm. Entrambi saranno presieduti dal Presidente della Repubblica e avranno competenza su assunzioni, trasferimenti, valutazioni e conferimenti di funzioni. I componenti saranno scelti tramite sorteggio: un terzo da un elenco di professori e avvocati predisposto dal Parlamento, i restanti due terzi tra i magistrati delle rispettive carriere. La durata dell’incarico sarà di quattro anni, senza possibilità di rinnovo.
La funzione disciplinare, finora affidata al CSM, passerà a un nuovo organo: l’Alta Corte disciplinare.
L’Alta corte sarà composta da 15 membri: 3 nominati dal presidente della Repubblica; 3 estratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento in seduta comune; 6 estratti a sorte tra i magistrati giudicanti in possesso di specifici requisiti, come vent’anni di attività e l’esperienza in Cassazione; 3 estratti a sorte tra i magistrati requirenti in possesso dei medesimi specifici requisiti.
Composta da 15 membri, sarà incaricata di giudicare i procedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. I giudici saranno selezionati tramite nomina presidenziale e sorteggio, con criteri specifici di esperienza. Le sentenze potranno essere impugnate davanti alla stessa Alta Corte, in composizione diversa.
Il presidente dell’Alta Corte deve essere individuato tra i componenti nominati dal Presidente della Repubblica e quelli sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento. I giudici dell’Alta Corte durano in carica quattro anni. L’incarico non può essere rinnovato ed è incompatibile con quello di membro del Parlamento, del Parlamento europeo, di un Consiglio regionale e del Governo, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni altra carica e ufficio indicati dalla legge.
La riforma, promossa dal governo Meloni e dal ministro della Giustizia Nordio, punta a rafforzare l’autonomia delle funzioni giudicanti e requirenti, ridurre l’influenza delle correnti e ridefinire l’equilibrio interno della magistratura.






