scritto da Angela Senatore - 15 Febbraio 2024 13:54

LIBRI & LIBRI “Anisoara”, tutti abbiamo una chance o solo alcuni?

L’esordio letterario di Gian Piero Tomasco è un romanzo che colpisce per la delicatezza del racconto e per la  quantità di temi, tra le righe della storia principale, attuali e scottanti che ne fanno un romanzo di formazione ma anche una storia contemporanea di denuncia sociale

Anisoara, la protagonista del libro che dà il nome al romanzo, è una giovane rumena di seconda generazione. Sua madre, Luiza, talento mancato della lirica, “un’intera esistenza di problemi ma sempre combattiva e inarrestabile”, si è trasferita in Italia lei seguendo il prof. Paolini, una specie di filantropo, tragicamente (per il futuro di queste due donne) premorto non prima però di aver inserito Ani nel prestigioso liceo nel quale lui stesso aveva insegnato.

La ragazza suscita l’ammirazione di chiunque la conosca per la sua innata grazia, eleganza e semplicità ma soprattutto Anisoara è una studentessa modello con un attento spirito critico. Abituata a fare i conti col brutto e cattivo mondo delle periferie e armata di una corazza come una amazzone, affronta scuola e lavoro nel weekend come barista con forza di volontà e quella rassegnazione di chi sa che la vita rose e fiori è destinata solo ad altri.

La vita di Ani ha però due fari: la possibilità di una borsa di studio, speranza di “una vita migliore, più dignitosa per lei e per la madre”, per la quale è “disposta a giocarsi tutte le sue carte” e Marco, il figlio della preside, quel ragazzo dalla vita tanto diversa dalla sua, con l’auto di lusso e i vestiti firmati, ma il cui sorriso è “l’unica sfumatura di colore” nel suo mondo grigio.

La storia tra Anisoara e Marco mi ha rimandato subito col pensiero a quella tra Step e Babi, indimenticabili protagonisti di Tre metri sopra il cielo, romanzo best seller di Federico Moccia che infiammò il cuore degli adolescenti e dei ventenni nei primi anni 2000. C’è in comune l’età dei protagonisti con le sue difficoltà, i tentennamenti, e quella Roma “bene” (anche se qui non sappiamo mai in quale città ci troviamo) che sa essere spietata e miserabile più dei luoghi più vili delle periferie.

In Anisoara però accanto alla storia principale ci sono  “le storie” parallele che sono, a mio avviso, le parti più riuscite del romanzo stesso.

Incantevoli e magistralmente realistici sono i dialoghi tra la protagonista e Rosalia, la migliore amica, nonché alter ego: sognatrice la prima, pragmatica e disillusa la seconda, anche Rosalia è una immigrata, è siciliana ma – parole sue – “nonostante vivo qui dalla nascita, vengo considerata più straniera di te”.

Rosalia è anche il pretesto per affrontare il tema della maternità, quella più difficile. Quando resta incinta di un uomo sposato, si ritrova improvvisamente donna e a ragionare per due:  “Parlare con mio padre sarà inutile, avrà solo la soddisfazione di dire che aveva ragione quando mi tacciava di essere una spiantata, una irresponsabile, una futura meretrice,… e io ci ho messo del mio” e quindi decide di trasferirsi in un paesino, a Spello, perché quando sarà responsabile di un’altra vita le vuole dare “un luogo meno schifoso di questo”.

E poi c’è il mondo si Buba e dei senegalesi, che spacciano ma non fanno del male a nessuno, Aurelio che da amico grassoccio e timido si è trasformato nel “Legionario” capobanda di un “comitato” di estrema destra che rimette ordine nel quartiere a suon di botte, al soldo dei ricchi del centro che, per un po’ di voti alle elezioni, sono disposti a pagare il pranzo ai poveracci delle periferie e bande armate per mantenere l’ordine.

C’è il Tenente Colonnello Mario Fantoni, un clochard che ha fatto di quel quartiere lercio la sua casa, invisibile a tutti ma non ad Anisoara. E poi c’è Catalin, il rumeno che entra ed esce dalla galera, il lupo che si nasconde dietro un volto che conosci sin dalla nascita, realtà che la cronaca dei nostri tempi ci ha più volte tristemente svelato, quella terribile della violenza sulle donne e dei femminicidi.

L’esordio letterario di Gian Piero Tomasco è un romanzo che colpisce per la delicatezza del racconto e per la  quantità di temi, tra le righe della storia principale, attuali e scottanti che ne fanno un romanzo di formazione ma anche una storia contemporanea di denuncia sociale.

La narrazione in terza persona è intervallata da riflessioni dell’io narrante che la arricchiscono e contemporaneamente le danno respiro in maniera sapiente. Ho trovato delle forzature, nel racconto di Marco e della borsa di studio, un mondo dorato che mi è parso eccessivo nelle sue descrizioni ma, da una parte, si tratta forse di elementi funzionali al racconto, dall’ altra dettagli assolutamente perdonabili. Una storia romantica e crudele a cui auguro tanta fortuna e tanti lettori.

 

Giornalista pubblicista, collabora con Ulisse online dal 2021 occupandosi principalmente della pagina culturale e di critica letteraria. È stata curatrice della rassegna letteraria Caffè letterari metelliani organizzata da Ulisse online e IIS Della Corte Vanvitelli e ha collaborato con Telespazio in occasione del Premio Com&te. È da maggio 2023 responsabile della Comunicazione di Fabi Salerno. Abilitata all’esercizio della professione forense, lavora in una delle principali banche italiane con specializzazione nel settore del credito fondiario.

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