Le spiagge di Maladroxia e Coaquaddus sono due delle più belle dell’isola di Sant’Antioco, a sud ovest della Sardegna.
Si affacciano su mare cristallino che da anni merita la “bandiera blu”.
Sui circa 600 metri di sabbia bianca che sommano in due, ai privati è stato concesso meno dei 10% del suolo e lo 0% dello specchio d’acqua (nessun “parco boe”, chi ha una barca la tiene nel porto).
Le spiagge sono assolutamente libere e gratuite, nessuna stupida distinzione tra residenti e ospiti. Sono dotate di servizi pubblici tra i quali un bagnino e la sorveglianza. A Maladroxia un gruppo di volontari consente, gratuitamente, di raggiungere il mare anche a persone con handicap o con malattie terminali.
Perché il mare è un sollievo, è terapeutico, ma soprattutto è un diritto, quindi è di tutti.
Giova ricordare che «i diritti devono essere di tutti se no sono solo privilegi». Parole di Gino Strada.
Sulle spiagge di Maladroxia e Coaquaddus, come in centinaia di altre, le persone occupano lo spazio che trovano libero, c’è chi evita le ore più affollate, chi sta solo per un paio d’ore, chi preferisce il pomeriggio. La maggior parte arriva dotata di attrezzatura, chi non ce l’ha la noleggia, perché è giusto che esista anche questa possibilità.
Ci sono dei divieti, più o meno severi e rispettati, come in ogni altra parte del mondo.
La consapevolezza della meraviglia del posto, suggerisce di difenderlo.
Molti di noi, per fortuna, continuano a considerare questa la norma e, viceversa, deforme la visione, oramai diffusa in costa d’Amalfi, che considera il mare uno sportello bancomat.
Dal quale prelevano pochi prescelti.
In un territorio dove le regole si flettono come canne al vento, gli amministratori sono riusciti nell’impresa di regimentare le spiagge a proprio uso e consumo.
L’app per prenotare il posto in spiaggia, i solarium su suolo pubblico, le postazione reggi-ombrellone numerata, il turno orario: follie.
Predisporre e vantarsene, considerare “bellezza” l’imposizione di tale schema paramilitare rivela una forma di insicurezza ed inquietudine incompatibile ad assumere qualsiasi ruolo di comando.
Il mare, indifeso, governato da gente che al mare non c’è mai andata.
Inoltre, far pagare l’ingresso in una spiaggia «libera» è già di per sé una sorta di estorsione, farlo dove vige un divieto di balneazione poi, è semplicemente immorale.
Immorale.
Ma la colpa non è solo dei “politici”: la colpa è anche nostra.
Che alziamo le spalle, facciamo finta di niente, chiudiamo un occhio, a volte entrambi.
Che stiamo iniziando a considerare «normale» un imbroglio.
Che difendiamo la nostra strettissima e personale rendita di posizione. E tanto ci basta.
Ma il mare, chi lo difende?.
(P.S.: La colpa è anche mia, che su questo dovrei scrivere un articolo al giorno).
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