Paolo Giulierini, direttore del MANN: “Il Museo deve diventare un luogo d’incontro”
Paolo Giulierini, direttore del MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), proprio in questi giorni inizia il suo secondo mandato. Come si legge nelle motivazioni del Premio alla Cultura, che ha ricevuto a Cava de’ Tirreni venerdì scorso nell’ambito della rassegna letteraria Com&Te, «Paolo Giulierini ha lo straordinario merito di aver intrapreso un programma di modernizzazione e valorizzazione del MANN, che ha portato questa istituzione culturale ad essere sempre più all’avanguardia e all’altezza degli standard internazionali».
«Con la sua perspicace direzione – si legge ancora nelle motivazioni- ha contribuito a diffondere nel mondo sia il senso profondo della cultura e della storia italiana sia un museo come il MANN, tempio dell’archeologia classica, con pochi pari in Italia e in Europa, trasformandolo, nel contempo, in un centro culturale aperto al territorio».
Il suo programma d’intervento all’arrivo al MANN è stato definito da lei stesso una “rivoluzione gentile”. In quali termini ha attuato questo profondo cambiamento?
Il Museo Archeologico di Napoli era noto a livello internazionale prima che io arrivassi, ovviamente. Aveva due caratteristiche: da un lato era un istituto molto tradizionale rispetto alle modalità espositive, e dall’altro aveva un organigramma del personale abituato a degli schemi di vecchia data basati sul rapporto gerarchico. Non esistevano rapporti di coinvolgimento e si respirava un clima di freddezza nei confronti del personale e del pubblico. Al mio arrivo ho cercato di rendere partecipi al mio progetti tutti, di condividere con tutti – a partire dai custodi – quello che avremmo voluto fare e i risultati dei successi. Il primo segno tangibile di questa “rivoluzione” è stato quello di inserire all’interno del piano strategico del Museo le foto dei dipendenti. Questo ha creato un grande senso di appartenenza perché per la prima volta emergevano le persone oltre agli oggetti. Il secondo step è stato quello di presentare questo Museo rinnovato al pubblico e farlo diventare accogliente, aprendo il giovedì sera, creando iniziative a parte rispetto alle mostre (es. eventi musicali o teatrali), riaprendo i giardini. Nella nostra idea il Museo deve diventare un luogo d’incontro.
Un luogo familiare dove non c’è polvere, né muffa, ma tanto dinamismo.
Esattamente. E dove non c’è il giudizio dall’alto dello specialista che misura la capacità o la qualità culturale di chi entra.
I più famosi musei esteri vengono gestiti con mezzi e modalità che si avvicinano alla modalità privata. Quali vantaggi si avrebbero se si riuscisse a portare anche da noi questo standard di gestione?
Il modello americano non è facilmente trasferibile perché si basa sulla presenza di grandi fondazioni bancarie che destinano gli utili agli istituti. Alcuni elementi, però, potrebbero essere mutuati, in particolare quello di dare la possibilità ai direttori di assumere il proprio personale potendo fare selezioni specifiche di professionalità che servono al museo. E poi dare al direttore la possibilità di incentivare con fondi propri il personale più meritevole. E’ molto importante uscire da un’ottica assistenzialistica egualitaria ed adottare un’ottica che tutela tutti, ma premia anche coloro che lavorano meglio. Su questo siamo ancora impossibilitati.
Il MANN è uno dei più importanti musei archeologici a livello mondiale. Modernizzare l’antico senza snaturarlo per renderlo fruibile al pubblico, è possibile?
Occorre un rispetto reciproco. Non dobbiamo dimenticare tre secoli di storia dell’archeologia campana e il fatto che deriva dalla grande opera dei re spagnoli, dalle scoperte di Pompei ed Ercolano, dalla forza di aver generato il Gran Tour nel ‘700 e che ancora oggi riverbera nel turismo. Non mi sognerei mai di stravolgere l’immagine che il Museo ha generato nel tempo. Però la tecnologia oggi permette di aggiungere in forma non invasiva una pluralità d’informazioni che possono parlare a un pubblico nuovo e dare tanti dati aggiuntivi. Ad esempio la possibilità di comprendere che le statue erano colorate. Oltre ciò è necessario e possibile veicolare all’esterno un’immagine competitiva del Museo comunicandolo con la strategia dei social, il linguaggio del fumetto e tante altre arti che possono essere affiancate alla comunicazione ordinaria. Soltanto così potremo intercettare un vasto tipo di pubblico.
L’archeologo del terzo millennio quali caratteristiche deve avere per essere al passo coi tempi. Come si è rinnovata oggi questa professione?
Tali e tante sono le materie che oggi occorre una pluralità di specializzazioni per gli archeologi. Un archeologo, a differenza di due secoli fa, non può fare tutto. Una volta l’archeologo studiava e scavava. Oggi c’è l’archeologo che è destinato allo scavo, c’è quello che è rivolto allo studio e alla disciplina universitaria e c’è l’archeologo che è impegnato nell’aspetto gestionale. Sono tre mestieri completamente diversi per i quali occorrono specializzazioni e cammini diversi. Sicuramente è necessaria una base comune culturale, non si può ad esempio non conoscere il greco e il latino, ma a parte i fondamentali sono cammini diversi. Per chi si occupa di musei è necessaria una specializzazione che spazi nell’aspetto economico e comunicativo e che si abbeveri di competenze e di team multidisciplinari che assistano i direttori.
Lei è stato eletto “Miglior Direttore di Museo italiano” nel 2018 da Artribune. Come è riuscito a ottenere questo prestigioso conferimento?
Con tanti sacrifici. A monte ci sono anni e anni di studio sui fondamentali e la capacità di scommettere su un “cortocircuito” che facesse dialogare l’arte antica con l’arte contemporanea. Come dire, osare una modalità mai sperimentata e rischiare anche di bruciarsi. Ma io sono fermamente convinto che per progredire occorre rischiare e avere tantissima fantasia che non nasce casualmente, bensì dal gioco e dalla preparazione che io ritengo fondamentale. Bisogna che i giovani si mettano in testa che il cammino non è semplice, ma pieno di sacrifici e solo alla fine, dopo molto tempo, ripaga.
Antico e moderno sono quindi più vicini di quanto si pensi.
Assolutamente sì.