Cava de’ Tirreni, Programmazione urbanistica: l’evoluzione della normativa nazionale e regionale nella salvaguardia dell’ambiente
Prosegue la seconda parte dell'excursus dell'ing. Aniello Casola sui vari passaggi della programmazione urbanistica degli ultimi settant'anni
Riceviamo e pubblichiamo
Per meglio comprendere quanto le leggi e le norme di settore hanno inciso, nel bene e nel male, sulla vita di tante comunità locali, occorre ripercorre il calvario, le indecisioni e indeterminazioni che hanno caratterizzato l’evoluzione legislative maturate in Italia nel settore paesistico.
Le prime avvisaglie della necessità di salvaguardare i beni paesistici nacquero con Benedetto Croce nei primi anni Venti del secolo scorso.
Solo con la Legge n. 1497 del 1939 si introdusse il concetto di Piano paesistico come strumento per la regolamentazione e utilizzo delle zone di interesse ambientale. Piani da redigersi a cura dell’allora Ministero della Cultura e da depositarsi nelle sedi dei singoli comuni.
Successivamente con la promulgazione della Costituzione nel 1948, con l’art. 9 si sancì il concetto di tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico nazionale.
Seguirono, da parte del Ministero competente, la emissione di Decreti locali con la dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi della L. 1497/39.
Cava de’ Tirreni, che negli anni 1960 era già dotato di PRG, circoscritto all’area centrale storica e la zona di San Giuseppe al Pozzo – Camerelle, fu anch’essa destinataria di decreti vincolistici in attuazione della L. 1497 /39, che riguardarono tutto il territorio comunale ad esclusione della porzione già interessata dal PRG comunale.
Pare che tutto ciò, come già accennato, non fu dovuto a un caso specifico, ma alle proteste degli allora amministratori di Cava che pretesero che le parti di territorio comunale già regolate con un proprio strumento, non venissero interessate dalla imposizione di ulteriori regole vincolistiche.
A tali fatti seguì un periodo di indeterminazione gestionale della materia paesistica dovuto sia alla istituzione delle autonomie regionali intervenuta nel 1972, alle quali fu affidata la materia urbanistica, fermo restante il coordinamento e l’indirizzo, che rimase in maniera residuale in capo allo Stato centrale, sia alla confusione lessicale che si venne a determinare nelle varie direttive e normative gestionali fra le definizioni di ambiente, paesaggio e urbanistica.
Successivamente, e solo il 21 settembre 1984, intervenne il Decreto Galasso, convertito nella L. 431 dell’8 agosto 1985, che istituì il vincolo di tutela su tutto il territorio nazionale di aree aventi valore di carattere naturalistico, impose la “ redazione dei piani paesistici o piani urbanistici territoriali” per la tutela degli ambiti di cui alla L. 1497/39 e veniva inibita qualsiasi attività nelle more della elaborazione dei piani paesistici.
“Il PUT nel 1987 si soprappose e integrò il vincolo paesistico già posto dalla Legge Galasso in ambito ambientale”
Con la Legge regionale della Campania n. 35/87 fu emanato il famigerato Piano Urbanistico Territoriale (PUT) della Regione Campania che riguardava i territori dei Monti Lattari compreso tutto il territorio di Cava de’ Tirreni, in conseguenza della legge Galasso.
Tale piano, a seguito di studi specifici, sentenze varie, convegni di esperti e interpretazioni normative che coprirono l’arco di un ventennio, si convenne in sede giurisdizionale che avesse valore sia urbanistico che paesistico e che si ammettevano deroghe solo mediante disposizione deliberativa del Consiglio regionale.
Detto vincolo si soprapponeva e integrava il vincolo paesistico già posto dalla Legge Galasso in ambito ambientale.
Ogni comune rientrante nella perimetrazione del PUT, doveva provvedere ad adeguare il PRG vigente o provvedere alla sua redazione in caso di assenza totale .
Il comune di Cava de’ Tirreni dovette suo malgrado provvedere alla elaborazione del nuovo PRG sostitutivo, in quanto gli fu imposta una procedura commissariale per non aver provveduto nei tempi richiesti dalla norma nazionale.
Purtroppo, quel PRG, che porta anche la mia firma quale allora Dirigente Tecnico del Settore IV, competente alla elaborazione del piano, fu elaborato nel rispetto dell’allora e tuttora vigente PUT regionale. Un piano che dettava regole molto restrittive in termini limitativi ed in modo particolare, riferito a contenimenti di nuovi carichi urbanistici specie di ordine residenziali, basato sulla preventiva elaborazione dell’anagrafe edilizia esistente e ai dati di incremento demografico territoriale risultanti dall’ISTAT.
Le risultanze finali delle possibilità realizzative risultarono molto risicate e nell’ordine di qualche centinaio di nuove residenze e pertanto molto esiguo rispetto al reale e naturale espansione abitative. Da qui seguì la scarsa possibilità di realizzazione di nuove residenze, la conseguente difficoltà di reperimento di unità abitative sul territorio, l’aumento notevole dei prezzi di acquisto e di locazione delle unità abitative, e non solo, e la ricerca per i costituenti nuovi nuclei famigliari di collocazione presso comuni confinanti che offrivano e ancora offrono prezzi molto piu convenienti e vantaggiosi.
A tal proposito, basti solo citare che nel comune di Nocera Superiore, in località Pecorari, esiste la piccola Cava perché caratterizzata da giovani coppie cavesi emigrate subito dopo l’approvazione del PRG del 1998.
“Per cogliere aspetti marginali e teorici di salvaguardia ambientale furono posti pesanti sacrifici e oneri a carico di cittadini”
Con la emanazione del decreto ministeriale datato 12 giugno 1967, le pratiche edilizie che rientravano nelle zone vincolate dovevano essere sottoposte all’autorizzazione ministeriale e per essa alle istituzioni regionali a partire dal 1972. Successivamente la materia fu subdelegata ai comuni mediante la istituzione di una commissione paesaggista composta da 5 membri esperti e successivo parere da parte della Soprintendenza. Questo tipo di procedura, che tuttora è in vigore, sia nella forma che nella sostanza, si è dimostrata molto onerosa per la utenza che molte volte si sono trovati a dover sostenere spese procedurali e tecniche che superavano di gran lunga il costo delle opere stesse.
Basterebbero queste osservazioni per dimostrare, per certi aspetti, la irragionevolezza del procedimento in atto che per cogliere aspetti marginali e teorici di salvaguardia ambientale pone pesanti sacrifici e oneri a carico di cittadini, anche per aspetti del tutto marginali rispetto a quelli che la legge base si proponeva.
Riprendendo l’excursus delle norme, successivamente, con il decreto legislativo del 29 ottobre 1999 n. 490, fu varato il “ Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”, in un tentativo di omogeneizzazione della normativa vigente in materia.
Solo nel 2004, però, con il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, fu varato il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, che ha abrogato tutta la precedente normativa , dividendo la materia della salvaguardia dei beni ambientali e culturali in due macroaree, una riguardante i beni culturali e l’altra i beni paesaggistici.
La Regione Campania, ai fini della attuazione di quanto stabilito con la citata norma, approvò la Legge regionale n. 13 del 13 ottobre 2008, che dettava norme per la elaborazione dei piani paesaggistici di copianificazione
Il legislatore, conseguentemente, finalmente cominciò a prendere coscienza che il sistema vincolistico legato alla materia del paesaggio risultava molto difficoltoso e farraginoso, ma anche scarsamente funzionale alle necessità dell’utenza. Fu emesso così il DPR n. 139 del 9 luglio 2010 avente ad oggetto il “Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità” .
Tale decreto, tuttavia, risultava ancora poco utile allo scopo di semplificazione e pertanto, nel corso del governo Renzi fu emanato il DPR 31 febbraio 2017 (di abrogazione del DPR 139/2010) recante ad oggetto il “Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedure autorizzative semplificate”, con il quale venivano sottratti alcuni interventi alla procedura di autorizzazione paesaggistica e venivano elencati alcuni interventi sottoposti invece a procedura semplificata. (2 – segue)
ing. Aniello Casola