Sto conoscendo i miei nuovi alunni, e nelle classi quinte ci sono alcune parole che ai ragazzi vengono e verranno dette come un mantra nel corso di questo ultimo anno di superiori: questo sarà l’anno della tua maturità, mi raccomando, fai attenzione, studia perché il voto sarà importante.
E poi: ma dopo che vorrai fare? Inviti giusti e legittimi… nessuno però che chieda a questi alunni: ma dopo la maturità chi vorrai essere e perché non iniziare a chiarirtelo già da ora?
Cosa vuoi fare? Un qualcosa lo si dovrà pur fare anche in vista di una sistemazione lavorativa ed indipendenza economica, ma non sarebbe più corretto educare i ragazzi a chiedersi “chi vorrai essere, come vorrai esserlo, in quale modo vorrai esserlo”? E qui non c’entra la fede… ma la riumanizzazione di vite che noi adulti siamo sempre pronti a giudicare ma che verosimilmente mancano di domande opportune.
Sì, è vero: noi (soprattutto ai giovani) corriamo il rischio di dare sempre risposte a domande che non vengono poste. Allora penso che sia più onesto suscitare le domande giuste cui eventualmente cercare di dare risposte che vengono dall’esperienza e dal cuore.
Chi vuoi essere? Ovvero: quali sogni coltivi, quali follie vorrai fare, come vorrai amare, quali rischi vorrai correre, come vorrai metterti in gioco.
Ai miei ragazzi dico anche un’altra cosa: immaginate di trovarvi di fronte a voi piccolini, quel fanciullo può e potrà essere orgoglioso di voi?
La disciplina dello studio, oltre che ad acquisire conoscenze e competenze, a me pare dovrebbe servire anche ad acquisire la capacità di leggersi e leggere la propria vita e i propri progetti in modo sereno, libero e severo… e con un pizzico di follia!