Il populismo dei nostri giorni non va considerato come un fenomeno passeggero o come un gruppo di Antitutto che prima o poi svanirà da solo
Grande Frastuono, si ode, in sottofondo. E come quando, in un mercato di voci, si fa fatica a sentire, anzi, ascoltare con attenzione qualcuno che ci parla.
E il senso delle cose, spontaneamente, dissolve.
A distanza di poco più un mese dalle europee accade questo nel nostro Paese, una delle democrazie fondanti dell’ordine mondiale sorto dopo la seconda guerra mondiale.
Che sia un ordine poco giusto o comunque migliorabile lo sappiamo perché quasi tutti, pian piano, lo abbiamo capito. Da qui però a buttare tutto a mare ci sta una bella differenza.
Il populismo, movimento che ha sorpreso tutti e che, bada bene, non riguarda solo l’Italia, si poggia, si fa forza e cresce sulle basi del pesante malcontento, giustificato per certi aspetti, da tutti quelli che, alla fine, sono usciti sconfitti dal mondo globalizzato. L’illusione della crescita perpetua propagandata, erroneamente a questo punto, da tutti quelli che credevano che la “mano invisibile” della globalizzazione avrebbe risolto tutto, all’improvviso è caracollata al suolo, infranta di fronte a coloro che, d’un tratto, si sono sentiti improvvisamente deboli e persi.
Chi ha perso il lavoro e non lo ha ritrovato, chi ha visto diluito se non polverizzato il valore del proprio stipendio, e chi, non potendosi permettere servizi privati, si è trovato ad avere servizi pubblici male organizzati e di bassa qualità.
Il mondo insomma si è trovato diviso due. Da una parte quelli che con la globalizzazione sono cresciuti e ce l’hanno fatta. Dall’altro chi non ci è mai entrato pure bussando forte.
E non serve parlare di “società della conoscenza” perché se fai fatica ad arrivare alla fine del mese della conoscenza non sai cosa fartene. Primum vivere deinde philosophari dicevano i latini.
E il populismo a tutto questo ha offerto una grossa risposta. Possiamo andare facilmente andare a trovare il punto esatto in cui è cominciato ma ci serve a poco. Il problema non è semplicemente storico è anzitutto di filosofia, di comprensione.
Mentre da una parte la gran parte, se non tutti, i governi, liberal, chi più chi meno radical chic, dell’occidente, stati uniti ed Europa in primis, hanno creduto che le politiche sociali avrebbero corretto queste idiosincrasie, dall’altra chi era rimasto fuori è diventato realmente insofferente. Talmente tanto da rivoltarsi contro tutto e tutti. Senza distinzione di sorta. Questo mondo mi ha tolto quello che avevo tanto vale urlare per abbatterlo. Non importa costruirne uno nuovo e come perché per ora mi interessa solo abbattere quello che ci sta.
Questa una delle matrici profonde del populismo contemporaneo che abbiamo sotto gli occhi. Non c’è una norma precisa di governo. Non c’è un programma di lungo periodo e se esiste non ha una lettura razionale, nel senso di basi di fatti e azioni conseguenti, della realtà ma anzi poggia su una visione del tutto ideologica.
Un problema di comprensione, anzitutto, prima che di ricerca storica. La falsa ideologia della “globalizzazione dal volto umano e sociale” non ha consentito di leggere per tempo quello che succedeva. O forse, se ci è riuscita, la differenza di velocità con chi iniziava a lamentarsi seriamente è stata talmente grossa da diventare incolmabile.
Ecco perché il populismo dei nostri giorni non va considerato come un fenomeno passeggero o come un gruppo di Antitutto che prima o poi svanirà da solo.
Si tratta di un fenomeno culturale, economico e, quindi, sociale caratterizzato dall’esistenza di due mondi diversi e in contrapposizione: chi ce l’ha fatta e chi no.
Ed è la stessa cosa che succede con le migrazioni che non sono fenomeno che si esaurirà nel giro di qualche anno: ci sta chi ce l’ha fatta, noi che viviamo in un contesto bene o male sviluppato e protetto, e chi invece no e vuole, giustamente, venire qua perché a casa propria fa difficoltà a sopravvivere.
Comprendere queste ragioni del populismo, prima ancora che condannarlo come gruppo di ignoranti e retrò, è il più grosso gesto di responsabilità che possiamo fare per noi e per le persone che ci stanno attorno.
Capire il populismo e le radici dove esso nasce e si sviluppa significa andare oltre la logica, superficiale e troppo benpensante, dell’indifferenza e della superiorità culturale e morale. Significa, banalmente, provare a metter le basi per contrastarlo nel concreto. Nella vita di tutti i giorni, dalla conversazione in Metro fino all’articolo di giornale. Per poi, chissà, arrivare a modificare, con programmi concreti e di visione, la vita pubblica del Paese.