L’intervista all’architetto Antonio Palumbo, pubblicata oggi da Ulisse on line, mi ha favorevolmente colpito per la profondità dei ragionamenti. Confesso di averlo finora in parte sottovalutato. A mia discolpa, ad onor del vero, c’è una conoscenza assai superficiale. Antonio Palumbo si è così rivelato una piacevole sorpresa. In altre parole, una personalità colta ed in grado di riflessioni molte complesse ed articolate.
I suoi giudizi sugli attuali amministratori comunali sono devastanti. Da un lato, segnala che non hanno “ancora acquisito la piena consapevolezza di essere stati eletti (o rieletti) per amministrare la città”. Dall’altro, denuncia “uno straripante qualunquismo amministrativo”. Con l’aggravante di una “devastante logica, di giorno in giorno più evidente, del “tirare a campare””.
Il giudizio politico più duro però, a parere di chi scrive, è un altro. E’ quello in cui nota che “la percezione diffusa che si ha attualmente delle stanze e degli uffici che contano a Palazzo di Città è quella di un club esclusivo per pochi “eletti” o per gli amici della prima ora”. E che questo “rischia di alimentare un clima, già insostenibile, di rabbia e risentimento, di livore antipolitico”. Peggio ancora “di crescente avversione nei confronti delle istituzioni”. Ad affermare ciò non è uno qualsiasi, ma un politico che fino a sei mesi fa era ospite di quel palazzo. Meglio ancora, era componente dell’attuale maggioranza di governo della città.
Ciò detto, tralasciando gli altri significativi passaggi dell’intervista (crisi della politica, tangentopoli, ruolo dei social), vanno evidenziati i suggerimenti che Palumbo dà in prospettiva.
A tal proposito, Palumbo cita Callicrate, architetto della Grecia antica, il quale evidenziava che chi si proponeva per governare giurava. E si assumeva un impegno sacro: «Vi riconsegneremo Atene più bella di come l’abbiamo trovata». Il nostro afferma così che “chi si candida per amministrare deve necessariamente essere animato e sostenuto” da una motivazione forte. Vale a dire “donare, senza interessi o secondi fini, molto del proprio tempo”. Ma anche “sacrificare parte della propria vita per costruire una città migliore da consegnare in eredità alle nuove generazioni”.
Come non condividere?! Anche perché buona parte degli attuali amministratori comunali un impegno del genere non l’hanno mai preso. E mai si sogneranno di assumerlo.
D’altro canto, Palumbo chiarisce che “professionalità, competenza e preparazione sono requisiti indispensabili per governare”. A ciò, tuttavia, occorre aggiungere “coraggio, visione del futuro e, in primo luogo, qualche sogno da inseguire”. In conclusione, questi sono gli ingredienti per “far ripartire una comunità e a darle una vera prospettiva d’avvenire”.
La realtà attuale, però, è quella che è. La classe dirigente nel suo insieme, e non solo quella politica, vive una crisi profonda di valori e di identità. Non solo nella nostra città, ovviamente.
Ad ogni modo, in questi giorni si fa un gran parlare di ripresa, di resilienza. Non ci sarà, però, alcuna ripresa e resilienza se l’impegno politico resterà appannaggio quasi esclusivo dell’attuale classe dirigente. In particolare, di quel personale politico che intravede nella gestione del potere un modo per sistemare i propri interessi particolari. E magari, in modo spiccio, la propria vita lavorativa o professionale.
E’ tempo, mai come adesso, di tornare alla politica. Alla buona politica. Altrimenti per la nostra città, per il nostro Paese, non ci sarà alcun futuro degno di questo nome.