Cava de’ Tirreni, lo sfascio delle politiche sociali nella nostra città
Dell'argomento si è parlato anche nell'ultima seduta consiliare comunale grazie a due interrogazioni presentate dai consiglieri di
La convocazione del Prefetto di Salerno dell’Amministrazione comunale metelliana e dei rappresentanti della UIL ci consente di tornare sulle carenze della macchina comunale. Il tema dell’incontro in Prefettura è infatti lo stato di agitazione del personale del Piano di Zona. Ciò ci permette di allungare lo sguardo anche alle politiche sociali e ai relativi servizi sociali comunali.
La UIL con un documento clicca qui per leggere aveva denunciato qualche settimana fa la circostanza che il personale del Piano di Zona “dal 1° gennaio scorso è ritornato part time”. “I carichi di lavoro sono però restati invariati, nonostante nella pratica gli operatori siano dimezzati”. Da qui, la preoccupazione circa la “prestazione sociale alle fasce più deboli”. In particolare, “la mancata assicurazione di tutte le misure di sostegno all’inclusione nei confronti delle persone e delle famiglie più fragili e vulnerabili”.
Basta già questo per far scattare il campanello d’allarme.
La situazione singolare è però un’altra.
La UIL ritiene che siano possibili “le assunzioni di assistenti sociali a valere sul Fondo di Solidarietà Comunale”. Questo, in pratica, “in deroga ai vincoli di contenimento della spesa del personale”. In altre parole, utilizzando soldi messi a disposizione dello Stato e non dal Comune.
Dell’argomento si è parlato anche nell’ultima seduta consiliare comunale. Questo, grazie a due interrogazioni presentate dai consiglieri di opposizione: Petrone (La Fratellanza) e Murolo (Siamo Cavesi). Di ciò riferiamo nell’articolo sul tema pubblicato poco fa dal nostro giornale.
Al riguardo, sono almeno due le perplessità.
La prima, a parte gli intollerabili ritardi accumulati e le colpevoli incertezze dimostrate, è la scelta dell’Amministrazione comunale metelliana. Vale a dire di utilizzare i fondi statali per implementare l’orario del personale a tempo indeterminato, ma part-time, di 18 ore settimanali con un contratto, per queste ulteriori ore, a tempo determinato.
Scelta legittima, quella dell’Amministrazione Servalli, ma le cui intime ragioni ci sfuggono.
La domanda viene spontanea. Perché non utilizzare i fondi statali, questi cosiddetti fondi etero finanziati che non pesano sul bilancio comunale, per stabilizzare a 36 ore settimanali il personale a tempo indeterminato attualmente part-time? In questo modo, tra l’altro, si liberebbero risorse utilizzate finora per coprire la spesa delle ore in part-time. Vale a dire proprio quelle del personale a tempo indeterminato.
Scelta politica legittima, dicevamo, quella dell’Amministrazione Servalli. Tuttavia, qualcosa non torna. E’ una scelta che sembra tradire un approccio poco appropriato alle politiche sociali. Per certi versi, incomprensibile. Per altri, poco incline a dare il giusto peso al sociale.
Vediamo il perché, a nostro avviso.
Per la sinistra le politiche sociali sono sempre state uno dei più rilevanti segni distintivi. Il sociale, insomma, a sinistra è sempre stato in cima alla scala delle priorità. Questo non sembra accadere nella nostra città. Forse, fanno eccezione Servalli e i suoi. O forse, secondo una maliziosa esegesi politica, Servalli & soci non sono affatto di sinistra. Al più l’hanno usata.
Questa sensazione si rafforza con quella che è la nostra seconda perplessità. Riguarda l’interrogazione del consigliere Murolo, il quale, centrando il problema, ha chiesto dell’utilizzo dei fondi statali per potenziare il sistema dei servizi sociali comunali. Richiamando, al riguardo, la normativa in materia clicca qui per leggere .
La risposta dell’Amministrazione comunale è che il nostro Comune non rientra tra i beneficiari.
Possibile? E il motivo? Un rapporto troppo elevato di assistenti sociali in proporzione alla popolazione residente. Tradotto: pochissimi assistenti sociali in servizio in rapporto alla nostra popolazione.
L’assessora Altobello ha poi dato i numeri. Nel senso che l’Ambito del Piano di Zona ha un rapporto di un assistente sociale ogni 12 mila abitanti, mentre il nostro Comune ogni diecimila.
Una miseria. Roba da terzo mondo.
La normativa che Murolo ha citato sembra invece dire il contrario. Il contributo viene determinato in “40.000 euro annui per ogni assistente sociale assunto a tempo indeterminato dall’Ambito, ovvero dai Comuni che ne fanno parte, in termini di equivalente a tempo pieno, in numero eccedente il rapporto di 1 a 6.500 abitanti e fino al raggiungimento del rapporto di 1 a 5.000”. E ancora: “Il finanziamento, a valere sul Fondo povertà, ha natura strutturale e non riguarda solo le nuove assunzioni”.
E’ il caso che, innanzi tutto, su questo tema si faccia chiarezza. Magari i consiglieri di maggioranza di Italia Viva e Azione (Barbuti, Santoriello, De Filippis, Balestrino e Manzo) si facciano dare una dritta. Indovinate da chi? Dall’ex ministro Carfagna, loro esponente nazionale di spicco, che di questa normativa è stata la fautrice durante il precedente governo Draghi.
Allo stesso modo, le opposizioni sull’argomento non devono mollare la presa. Al contrario, devono approfondire la problematica sotto tutti gli aspetti. E incalzare in modo incisivo l’Amministrazione comunale.
La partita è delicata e non di poco conto. Un dato è, infatti, certo. Le politiche sociali meritano un’attenzione particolare. Riguardano le fasce della popolazione più debole e disagiate. Minori, anziani, disabili, indigenti… La coesione sociale parte da loro. E lo sfascio in cui si trovano i servizi sociali del nostro Comune e lo stato di estrema difficoltà in cui è stato ridotto il Piano di Zona, gridano vendetta!