Una intrepida paracadutista russa
Una intrepida paracadutista russa
Ljubov Berlin, la spericolata paracadutista sovietica che morì per una promessa fatta a Stalin
Ljubov Berlin era una paracadutista particolarmente esperta ed entusiasta, spericolata al limite dell’incoscienza, che aveva promesso a Stalin di dedicargli un lancio particolare, al limite dell’impossibile.
Era nata il 19 ottobre 1915, conobbe Stalin nell’autunno del 1935, e quella conoscenza avrebbe segnato la sua fine, avvenuta il 26 marzo 1936.
Il giorno in cui aveva conosciuto Giuseppe Stalin, l’aveva definito il più bel giorno della sua vita, e si era talmente entusiasmata da dedicargli il suo lancio più rischioso: avrebbe pagato con la vita quella promessa.
Nell’autunno del 1935 Ljuba, durante una visita delle autorità all’Aero Club Centrale di Mosca, ebbe modo di incontrare i membri del governo sovietico e Stalin in persona.
“Ricordo sempre questo giorno come il più felice della mia vita -disse la paracadutista- quando il compagno Stalin mi ha stretto la mano, ero molto imbarazzata. Ma lo sguardo tenero del leader, il suo sorriso dolce e paterno hanno immediatamente fatto scomparire ogni ansia”.
Ljubov Berlin era una donna coraggiosa, di lei si diceva che era una vera scavezzacollo.
Ad esempio non aveva nessuna paura di camminare da sola a tarda notte, come non aveva paura dell’acqua, in qualsiasi luogo era pronta a tuffarsi e nuotare.
Così scriveva di sé la Ljubov, che veniva anche chiamare Ljuba, nomignolo che le era stata attribuito per brevità.
È stata una delle migliori paracadutiste sovietiche della storia, probabilmente la più temeraria di tutte.
Fin dal suo primo lancio con il paracadute, all’età di diciassette anni, il cielo fu la sua seconda casa.
Lavorava come dattilografa presso il giornale “Pravda”, ma tutto il suo tempo libero lo passava al campo d’aviazione.
Durante i suoi salti, la Berlin fu più di una volta vicina alla morte a causa di errori di calcolo o di improvvisi cambiamenti delle condizioni atmosferiche: le capitò di atterrare sugli alberi o sui tetti, e una volta rimase persino incastrata sul tetto di un grattacielo, e venne salvata dai vigili del fuoco, che riuscirono a tirarla dentro attraverso una finestra. Ciononostante, continuò a volare e paracadutarsi senza paura.
Nel 1935, Ljubov divenne la prima donna nel mondo del paracadutismo a lanciarsi da un aliante. “La difficoltà di lanciarsi col paracadute da un aliante è che devi essere molto attenta quando salti fuori –disse Ljuba- se sei nervosa, sei destinata a sbagliare. Ogni mossa deve essere perfettamente sincronizzata”.
I suoi salti preferiti erano, ovviamente, quelli con apertura ritardata, praticati da 3.000 e 5.000 metri di altezza; il paracadute non veniva aperto immediatamente dopo il lancio dall’aereo, ma dopo un certo tempo; si trattava di un’impresa molto pericolosa, in quanto il paracadutista in accelerazione rischiava di girare su sé stesso, perdere la capacità di orientarsi, e di schiantarsi al suolo, cadendo come un sasso.
Ljubov Berlin ebbe un incredibile successo nel paracadutismo sportivo sovietico, divenne una vera e propria maestra del suo mestiere, sviluppando nuove tecniche di realizzazione dei salti e insegnandole ai suoi studenti; il suo nome era sempre sui giornali e arrivò anche al Cremlino.
Il giorno fatidico fu il 26 marzo 1936; Ljubov Berlin arrivò al campo di aviazione di Ljubertsy con la sua amica Tamara Ivanova, che lei chiamava “sorella di paracadutismo”; le ragazze erano di ottimo umore, ridevano e scherzavano come se andassero a fare una gita in campagna.
Ma non era proprio una scampagnata, il loro compito era quello di lanciarsi da 5.000 metri, cadere per 80 secondi e aprire il paracadute a 1.000 metri d’altezza. Tuttavia, a quanto pare, le atlete speravano di fare ancora di meglio.
Il corrispondente del giornale “Krasnyj sport” Lazar Brontman, che era presente all’aeroporto, scrisse nel suo diario: “Più tardi i fotografi hanno raccontato che dopo essere salita sull’aereo la Ivanova rideva allegramente e gridava: ‘Prima di 100 metri da terra io non apro!’.
Prima di loro, altre paracadutiste, come la Kamneva aveva aperto a 250 metri da terra, Evseev a 200 metri e Evdokimov a 150 metri”: le due giovani volevano migliorare quei record.
La Berlin, da parte sua, dichiarò: “Questo sarà il mio 50° salto: un record e un anniversario allo stesso tempo”; un conoscente trasmise al celebre giornalista Lazar Brontman della Pravda la richiesta di aiutarla a scrivere una lettera a Stalin dopo il salto, affermando che la promessa era stata mantenuta.
Purtroppo Brontman quella lettera non l’avrebbe mai scritta.
L’aereo decollò e sparì in cielo, ma gli spettatori non videro atterrare le due paracadutiste.
I corpi di Ljubov Berlin e di Tamara Ivanova furono presto ritrovati in un campo coperto di neve, con i paracadute semiaperti, a 400 metri di distanza l’uno dall’altro. L’autopsia mostrò che Ljuba aveva quasi tutte le ossa rotte, mentre Tamara le costole in frantumi.
Il cronometro dell’altra paracadutista, la Ivanova, segnava 91,7 secondi: per motivi ancora sconosciuti, aveva tirato l’anello per l’apertura del paracadute con quasi 12 secondi di ritardo rispetto a quanto avrebbe dovuto, a un’altezza di soli 200 metri dal suolo.
Si suppone che Ljuba abbia commesso lo stesso errore.
Il 29 marzo 1936, nella Casa della Stampa di Mosca, si tenne una cerimonia di addio per le due paracadutiste, alla quale parteciparono migliaia di persone.
Stalin non si presentò.