Ombre Rosse, dalla difesa ad oltranza alla pietas dei familiari delle vittime dei terroristi
Come era prevedibile, contro l’arresto degli undici terroristi in Francia, ci sono state voci di protesta. Si comprendono, pure non giustificandole, quelle degli avvocati che li hanno difesi e ancora li difenderanno nelle procedure legali che saranno ora avviate per contrastare la estradizione in Italia dei loro assistiti; è un atteggiamento professionale assolutamente non censurabile.
Si fa difficoltà a comprendere ed accettare, invece, le voci di aspro dissenso da parte di numerosi personaggi della “intellighenzia” di sinistra, che hanno sottoscritto una petizione-manifesto contro l’arresto.
Secondo quanto riportato dalla stampa nazionale e internazionale, l’appello più pressante è stato pubblicato in Francia, sul quotidiano “Liberation”, ed è indirizzato direttamente al Presidente Macron.
“Presidente – inizia l’appello – rispetti l’impegno della Francia nei confronti degli esiliati italiani. Forse voi non avreste preso la decisione (quella adottata da Mitterrand, ndr). Ma il contesto era diverso, la ‘strategia della tensione’ era ancora viva, i giuristi francesi erano spesso perplessi per le ‘leggi speciali’ su cui si basavano le procedure italiane. Qualsiasi possa essere l’opinione su questa eredità converrete che non si può risalire il corso del tempo, né cambiare gli avvenimenti del passato”.
I firmatari sostengono anche che tutte le persone uscite dalla clandestinità “hanno rispettato il loro impegno a rinunciare alla violenza”.
E proseguono: “Mentre queste persone hanno oggi fra i 65 e gli 80 anni, hanno i problemi legati alla loro età, di salute, di dipendenza, di invecchiamento, alcuni in Italia li usano come comodi spaventapasseri per obiettivi di politica interna che non ci riguardano; e in Francia sono imprescrittibili solo i crimini contro l’umanità”.
L’appello è stato firmato da Agnès B., Jean-Christophe Bailly, Charles Berling, Irène Bonnaud, Nicolas Bouchaud, Olivier Cadiot, Sylvain Creuzevault, Georges Didi-Huberman, Valérie Dréville, Annie Ernaux, Costa-Gavras, Jean-Luc Godard, Alain Guiraudie, Célia Houdart, Matthias Langhoff, Edouard Louis, Philippe Mangeot, Maguy Marin, Gérard Mordillat, Stanislas Nordey, Olivier Neveux, Yves Pagès, Hervé Pierre, Ernest Pignon-Ernest, Denis Podalydès, Adeline Rosenstein, Jean-François Sivadier, Eric Vuillard, Sophie Wahnich, Martin Winckler, e Valéria Bruni-Tedeschi, la quale lo ha anche trasmesso su qualche rete televisiva.
Una voce fuori dal coro è stata quella del nostro Luciano Violante, Magistrato, che è stato Presidente della Camera dei Deputati, della Commissione Parlamentare Antimafia, e della Commissione Affari Costituzionali della Camera.
Luciano Violante sullo stesso quotidiano ha pubblicato una difesa della memoria delle vittime dei terroristi, dal titolo “Anche le vittime delle Brigate Rosse avrebbero voluto ricostruire le loro vite”, riequilibrando in tal modo le opinioni diverse.
A tal proposito è opportuno fare una serie di considerazioni, partendo da una domanda: quale è la linea di demarcazione che separa l’area nella quale è collocata una vicenda processuale per attività che abbiano comportato risvolti e condanne penali rilevanti, da quella nella quale si collocano le vicende umane dei condannati?
C’è forse un limite, temporale o di altro genere, che può consentire che un condannato a scontare una pena per i reati penali commessi possa venire esonerato “per raggiunti limiti di età”?
Ma il diritto di consentire alle vittime di raggiungere quello stesso limite di età è forse precluso sol perché, oramai, sono nell’aldilà?
Alla quale riteniamo possa aggiungersene un’altra, pure indirizzata ai critici intellettuali di sinistra che si sono tanto scandalizzati: ma non vi sembra di esagerare nella difesa ad oltranza di assassini, solo perché dichiaratamente facenti parte dell’area politica nella quale essi si sono collocati? Ve la sentite di assolvere questi assassini per la sola considerazione che oramai sono in età avanzata ed hanno (avrebbero) diritto a un periodo di pace e tranquillità, che nessuno ha mai loro negato, ma che essi stessi hanno rifiutato, sia pure in nome di un ideale?
Qui non si invoca il “dente per dente”, ma solo una equità di valutazione del valore delle vite delle vittime e dei carnefici.
D’altronde, se è vero che la espiazione della pena ha fini rieducativi, perché negare questa rieducazione ai condannati solo per raggiunto limite di età?
E, invece, tanto più apprezzabile, e condivisibile, il sentimento di pietà espresso dai familiari delle vittime dei terroristi, che bene possono essere rappresentati da Mario Calabresi, il giornalista figlio del Commissario Luigi Calabresi, una delle vittime, trucidato a circa due anni dalla strage di Piazza Fontana di Milano, avvenuta il 12 dicembre 1969, quando, nella sede della BNA, la esplosione di un potente ordigno causò decine di morti e di feriti.
Quell’assassinio venne progettato da uno dei terroristi ora arrestati in Francia, Giorgio Pietrostefani, ed eseguito il 17 maggio 1972, cioè dopo un anno e mezzo da quella carneficina, solo perché, secondo una certa teoria, che non è mai stata convalidata da alcun riscontro oggettivo, Calabresi, oltre ad essere colpevole in quanto servitore dello stato, si era macchiato anche del delitto di aver scaraventato l’anarchico Giuseppe Pinelli da una finestra del quarto piano della Questura di Milano durante l’interrogatorio seguito al fermo per il sospetto di essere uno degli autori della strage.
Alla fine nemmeno questo è stato mai accertato, Pinelli sembra non c’entrasse nulla con l’attentato alla BNA, e lo stesso Calabresi sembra che avesse un buon rapporto con Pinelli; ma il solo sospetto che Calabresi l’avesse ammazzato indusse Pietrostefani ad eseguire la condanna di Calabresi, il quale fu colpito alle spalle uscendo dal portone di casa.
Mario Calabresi, in una toccante intervista televisiva di qualche sera fa, ha avuto parole di pietà per gli aguzzini del padre e per gli altri terroristi, e non solo in considerazione della loro età e degli acciacchi di cui soffrono, ma anche in considerazione che anche essi, come tutti i colpevoli di qualche peccato, sono creature di Dio e hanno diritto alla misericordia e al perdono anche da parte delle loro vittime e dei familiari delle stesse: o quanto meno all’oblio.
Dichiarazioni di altissimo valore morale, fatte per conto dei suoi familiari, ma interpretando pure i sentimenti dei familiari delle altre vittime dei terroristi.
E chi più di un figlio, lasciato orfano in tenera età (aveva poco più di due anni), può meglio esprimere sentimenti per gli assassini del suo papà?
E se questi sentimenti sono di pietà e di tolleranza verso gli assassini, sono anche una grande lezione di umanità alla quale gli accaniti sostenitori dei terroristi farebbero bene ad ispirarsi.