Le storiacce: la saponificatrice
Sembra l’immagine di una brava donna, una nonna alla quale i nipoti ronzano intorno per avere le caramelle o per ascoltare le favole; invece, questa è la donna che tra gli anni 1939 e 1940 era diventata una assassina seriale, che commise tre delitti efferati.
Tre storie orripilanti con epiloghi atroci; ai lettori che non hanno stomaco forte è sconsigliato di andare avanti nella lettura, perché vi sono particolari, descritti dalla stessa criminale in un suo memoriale redatto durante la lunga detenzione, veramente agghiacciati e vomitevoli.
La storia la ricorda come “la Saponificatrice di Correggio”, ma era campana; era nata a Montella, in provincia di Avellino, il 14 aprile 1894, da una famiglia modesta e numerosa; il padre Mariano Cianciulli era allevatore di bestiame, la madre Serafina Marano era casalinga, già vedova e madre di due figli avuti dal precedente matrimonio.
Sembra che Leonarda fosse nata a seguito di una violenza subita dalla madre quindicenne, per questo motivo la madre non l’aveva mai accettata e da questo derivò il difficile rapporto con la figlia, la quale da ragazza aveva sofferto di epilessia e aveva anche tentato più volte il suicidio.
Leonarda nel 1917, nel pieno della prima guerra mondiale, a 23 anni sposò Raffaele Pansardi, impiegato al Catasto di Montella, contro il parere della madre che l’avrebbe voluta maritata con un cugino; la madre l’avrebbe maledetta alla vigilia delle nozze e da ciò i rapporti, già difficili, si interruppero definitivamente.
La maledizione segnò indelebilmente la psiche della donna e il trauma potrebbe esser alla base degli orrendi delitti che avrebbe poi commesso.
Stando a quanto da lei stessa scritto, la madre, in punto di morte, avrebbe pronunciato contro di lei la maledizione di una vita piena di sofferenze, e qualche anno prima una zingara le aveva profetizzato che avrebbe messo al mondo molti figli che però sarebbero tutti morti.
La Cianciulli si trasferì a Lauria di Potenza, paese natio del marito, e poi a Lacedonia di Avellino.
Non ebbe mai una buona nomea, era considerata donna senza scrupoli, di facili costumi, disonorata, impulsiva e ribelle, dedita alla millanteria e alla truffa.
Aveva avuto condanne per furto e minaccia a mano armata, ed aveva scontato condanne nelle carceri di Lauria e Lagonegro.
Le maledizioni della madre e della strega avrebbero avuto effetto, Leonarda ebbe le prime tredici gravidanze che si conclusero con tre aborti spontanei e dieci neonati morti dopo pochi giorni.
Riuscì ad avere, poi, quattro figli solo a seguito di una esorcismo da parte di una strega, che lei individuò come una “Madonna nera”, la quale le disse che in cambio della vita dei suoi figli avrebbe dovuto sacrificare vite umane.
Nelle sue memorie avrebbe scritto: «Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l’altra dalla terra nera… per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli.»
A quel tempo il sapone si otteneva bollendo nella soda caustica gli scarti del maiale (ossa e cartilagini): un procedimento che si svolgeva all’aperto a causa del fetore che produceva.
Leonarda non temette di sporcarsi le mani per difendere i suoi figli, e non se ne fece mai un cruccio: “Non ho ucciso per odio o per avidità, ma solo per amore di madre” disse nelle sue memorie, che intitolò <<Confessioni di un’anima amareggiata>>.
Nel 1930 ci fu il terribile terremoto del Vulture, nel potentino, che seminò morte e distruzione anche nell’avellinese, e il destino della coppia cambiò.
Leonarda e il marito si trasferirono a Corregio, Reggio Emilia, dove il marito continuò a lavorare come impiegato dell’Ufficio del Registro. Col suo stipendio a stento riusciva a mantenere decorosamente la famiglia e Leonarda si organizzò per “arrotondare” le entrate architettando truffe, esercitando l’attività di chiromante e astrologa, dedicandosi al commercio di abiti e mobili: una antesignana casalinga di Vanna Marchi.
Secondo Roberta Bisi, docente di Sociologia giuridica, la Ciancilulli era una leader nata, una donna accattivante che col suo fascino esercitava un controllo assoluto su chi la circondava e da ciò traeva soddisfazione.
Sapeva farsi benvolere specialmente dalle donne di una certa età, insoddisfatte della routine quotidiana e desiderose di evadere; Leonarda le riceveva quotidianamente, le faceva parlare, le intratteneva offrendo loro dolcini, le consolava, e incominciò ad intravedere in questi rapporti qualcosa di più sostanzioso che potesse risolvere anche i suoi problemi economici.
Leonarda Cianciulli venne abbandonata dal marito e nel 1939, allo scoppio della seconda guerra mondiale, si trovò con quattro figli dei quali la femminuccia frequentava l’asilo, un maschio si era arruolato, il secondo frequentava il ginnasio e il primo, il prediletto, iscritto alla facoltà di Lettere presso l’Università di Milano, rischiava di essere richiamato al fronte: a tale eventualità la donna, memore della maledizione e della profezia, cadde in una profonda crisi di sconforto, e si rifugiò nella magia, decidendo di compiere sacrifici umani in cambio della vita del figlio, come le aveva suggerito la “Madonna nera”.
E chi meglio delle sue amiche-pazienti desiderose di evasione avrebbero potuto essere le vittime sacrificali della sua follia?
Gli omicidi furono perpetrati tra 1939 e il 1940 e le vittime furono tre.
Il primo “sacrificio” fu quello di Ermelinda Faustina Setti, una donna semianalfabeta che, nonostante i suoi settant’anni, desiderava un marito. Leonarda le assicurò di aver trovato l’uomo che faceva per lei a Pola, e il 17 dicembre 1939 la invitò a casa per le ultime formalità, tra le quali la sottoscrizione di una delega per la gestione dei suoi beni.
Poi la uccise a colpi d’ascia, ne raccolse il sangue in una catino, e sezionò il corpo in nove parti.
E’ lei stessa, nel suo memoriale, a descrivere il seguito: «Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io».
Orripilante.
La seconda vittima fu Francesca Clementina Soavi, una insegnante d’asilo alla quale Leonarda aveva promesso un lavoro migliore presso un collegio femminile di Piacenza. Venne ammazzata il 5 settembre 1940, non prima, però, di aver scritto lettere e cartoline ai familiari scusandosi per l’assenza. Leonarda si fece sottoscrivere un’autorizzazione a vendere tutto ciò che possedeva, si impossessò dei pochi soldi e l’assassinò col solito rituale.
Aveva raccomandato alla sua vittima di non parlare con nessuno del suo nuovo lavoro, ma la Soavi si era confidata con una vicina di casa.
Inizialmente nessuno si preoccupò della sua scomparsa perché quelli erano anni in cui i morti si contavano a centinaia anche a causa della guerra.
La terza vittima fu la cinquantanovenne Virginia Cacioppo, ex soprano che aveva studiato al Conservatorio Musicale di Milano e aveva avuto un discreto successo interpretando diverse opere liriche in Italia e all’estero. Poi era stata dimenticata.
Leonarda le promise un importante impiego a Firenze come segretaria di un presunto impresario teatrale, illudendola che fosse solo il prologo per la ripresa della carriera artistica. Anche ad essa Leonarda aveva consigliato di non parlarne con nessuno, ma anche la Cacioppo si confidò con una amica.
Venne assassinata e saponificata il 30 novembre 1940. Nel memoriale la saponificatrice avrebbe scritto: «Finì nel pentolone, come le altre due; ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce».
Ma oramai la storia andava verso il suo epilogo; una parente della Cacioppo ne denunciò la scomparsa e i sospetti caddero subito su Leonarda Cianciulli proprio per la sua amicizia anche con le altre vittime, e venne arrestata.
Nonostante si fosse difesa strenuamente, venne inchiodata da una prova inoppugnabile, i Buoni del Tesoro che aveva consegnato a un inconsapevole parroco perché li incassasse.
Pure il parroco insieme al figlio Giuseppe rischiarono l’imputazione di associazione a delinquere, che non si riuscì a dimostrare e la Cianciulli fu l’unica ad essere incriminata, processata e condannata.
Il processo iniziò nel 1946, ritardato per lo scoppio della guerra. Venne sottoposta a perizia psichiatrica da parte di Filippo Saporito, docente all’Università di Roma e direttore del manicomio criminale di Aversa, che giudicò la donna affetta da psicosi isterica e totalmente inferma di mente, ma la Corte di appello di Bologna lo accusò di essersi fatto “stregare” e ritenne la criminale pienamente imputabile.
Ma anche durante la ricostruzione dei fatti la Cianciulli si dimostrò un osso duro, tanto che la Polizia dovette faticare non poco per farle ammettere i tre delitti, e alla fine Leonarda, un poco alla volta, crollò.
La Cianciulli alla fine confessò d’aver ucciso le tre donne, distrutto i corpi facendoli bollire nel pentolone pieno di soda caustica, confezionato saponette con allume di rocca e pece greca, disperso i loro resti nel pozzo nero e conservato il sangue per farlo attecchire al forno e mischiato a latte e cioccolato per farne biscotti, dati da mangiare anche ai figli, che credeva così di salvare dalla morte.
In un passaggio finale degli interrogatori disse a un poliziotto «Ebbene me le ho mangiate le mie amiche, se vuole essere mangiato anche lei, son pronta a divorarlo […], le scomparse me le avevo mangiate una in arrosto, una a stufato, una bollita».
Dichiarata colpevole di triplice omicidio e distruzione dei cadaveri e furto aggravato, Leonarda Cianciulli fu condannata a trent’anni di reclusione più tre da scontare in un ospedale psichiatrico: si trattò di una sentenza innovativa, anche rispetto a oggi.
La Cianciulli entrerà in manicomio e non ne uscirà più. Morì dopo ventiquattro anni, il 15 ottobre 1970, nel manicomio di Pozzuoli, all’età di 77 anni, per apoplessia cerebrale.
Venne sepolta nel cimitero di Pozzuoli in una tomba per poveri.
Una suora del carcere la ricordò in questo modo: «Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi, che però nessuna detenuta mai si azzardava a mangiare».
24 agosto 2020 – By Nino Maiorino
Molti hanno letto questo articolo, e li ringrazio. Qualcuno mi ha rimproverato per la sua crudezza: ringrazio anche questi amici lettori, ma ricordo che al secondo paragrafo avevo avvertito che il pezzo era sconsigliato a chi non ha lo stomaco forte, perché dalla documentazione che avevo esaminato per redarlo mi ero reso conto di alcuni episodi erano veramente stomachevoli e orripilanti che, se non li avessi riportato, non avrebbero spiegato la personalità della saponificatrice e la crudeltà delle sue azioni. D’altronde se si tratta un argomento del genere non si possono tacere i dettagli.
Comunque ringrazio tutti.