scritto da Angela Senatore - 13 Gennaio 2025 08:11

Il conte di Montecristo, un’epopea senza tempo dei vizi e delle virtù umane

Un tradimento, una ingiustizia, la morte e la resurrezione, il coraggio e la vendetta; uno dei libri più belli che abbia mai letto, una storia di rabbia e speranza

Ci sono storie che rappresentano una esperienza talmente immensa che scriverne una recensione mi pare un tentativo limitato e limitante di catalogarle: il conte di Montecristo si annovera a buon diritto come una di queste storie, per cui questa, più che una recensione, vuole essere un sentito consiglio di lettura.

Lo dirò subito: chi non l’ha mai letto non sa cosa si sta perdendo ma è al tempo stesso persona fortunata, da me quasi invidiata, per non aver ancora provato l’ebbrezza di volare tra le pagine di questo mito.

Sarà per questa capacità di affascinare che, negli anni, il conte di Montecristo è stato più volte oggetto di adattamenti televisivi, da ultimo quello in programma a partire da stasera su raiuno.

Edomndo Dantés, il nome secolare del conte, è un giovane marinaio marsigliese, la cui ingenuità e purezza d’animo nelle prime pagine del libro sono quasi irritanti, un po’ come quelle del principe Myskin, L’idiota di Dostoevskij.

L’invidia e la gelosia, miste all’ignavia, rappresentate rispettivamente dagli antagonisti Danglars, Fernando e Caderousse, sono talmente evidenti a chi legge che si prova il desiderio di entrare tra le pagine per rendere vigile il giovane Edmondo rispetto al tranello che gli si sta preparando.

Chiaramente ciò non è possibile ed Edmondo cadrà inevitabilmente vittima della meschinità umana, complice anche la brama di potere di Villefort, e verrà imprigionato, da innocente.

“Se voi siete colpevole lo siete soltanto di imprudenza” dice Villefort al progioniero. Ed in effetti è proprio così. È una colpa aver fiducia nel prossimo?

Nella terribile prigione del Castello d’If, Edmondo vive l’inferno della solitudine e della sottrazione della sua esistenza. Disgraziato e disperato imbocca la strada del suicidio, guardando con terrore la possibilità di una vita futura nelle stesse condizioni. Salvifico sarà per lui l’incontro con Faria, l’altro prigioniero, quello ritenuto pazzo, personaggio magnifico ed indimenticabile, un vero deus ex machina.

Se è vero che Edmondo Dantés è un eroe solitario che deve compiere il suo destino da solo, contro tutto e contro tutti, è anche vero che, se quel destino può compiersi e la rinascita avvenire, è solo grazie a Faria, a cui, non a caso, Edmondo dovrà il tesoro di Montecristo.

I due mettono a punto un piano per evadere ma Faria non vedrà mai più la libertà perché morirà prima di compiere l’impresa. Con la morte di Faria, la speranza vacilla nuovamente in Edmondo ma ormai la strada del riscatto è intrapresa, non si può tornare indietro.

Memorabile è la scena della evasione di Edmondo Dantés che deve passare simbolicamente per la sua morte – mirabilmente messa in scena con un tranello degno del cavallo di Troia ingegnato da Ulisse – per giungere alla rinascita, tra le onde nere di un mare in tempesta del golfo di Marsiglia che, seppur dona la vita, non è però purificatore.

In quel mare infatti, si compie la metamorfosi, Edmondo Dantés non c’è più, adesso egli vive nel conte di Montecristo e il suo destino può finalmente compiersi.

L’innocenza, la purezza d’animo finanche la dabbemagine di Edmondo sono scomparse, esiste un uomo estremamente intelligente, colto, calcolatore, che anela una sola cosa: vendetta.

Inizia qui l’odissea moderna del conte di Montecristo che lo porterà, girovagando per l’Europa, a fare i conti con chi quattrodici anni prima, gli ha rovinato la vita e distrutto i sogni. Non ci sono incontri mitici con maghe o sirene ma uno spaccato della vita ottocentesca tra intrighi nobiliari e bancari. La fede in Dio, si confonde con la fede in sè stesso e nella propria onnipotenza. È la yubris dei Greci, che rende gli uomini tracotanti.

Ad uno ad uno, il conte riuscirà a saldare i conti col passato. Ma la vendetta davvero ristora delle sofferenze patite? L’uomo può davvero sostituirsi alla provvidenza?
“Montecristo comprese che aveva oltrepassato i limiti della vendetta, comprese che non poteva più dire: “Dio è per me e con me’.Si gettò con un senso di angoscia inesprimibile sul corpo del bimbo” Una volta compiuto il suo disegno punitivo, cosa resta? Chi ha creduto di essere Montecristo? È solo nelle ultime pagine del libro, quando ormai Edmondo ha portato a termine il giuramento di vendetta che si era fatto quando era prigioniero che qualcosa cambia. Nel viaggio, forse, oltre la sete di vendetta, oltre la rabbia, ci può essere ancora spazio per l’amore.

La prima pagina del mio libro, che comprai usato come spesso mi piace fare, c’è un esergo a penna di “Ste”, che scrive “Un tradimento, una ingiustizia, la morte e la resurrezione, il coraggio e la vendetta; uno dei libri più belli che abbia mai letto, una storia di rabbia e speranza”.

Concludo con le sue parole che mi fecero ben sperare quando iniziai la mia lettura e che, una volta terminata, mi parvero la sintesi perfetta.

Se davvero i libri possono chiamarsi mattoni, non è per quanto voluminosi possano essere, ma perché sono pietre d’angolo nella storia della letteratura. Il conte di Montecristo lo è.

Giornalista pubblicista, collabora con Ulisse online dal 2021 occupandosi principalmente della pagina culturale e di critica letteraria. È stata curatrice della rassegna letteraria Caffè letterari metelliani organizzata da Ulisse online e IIS Della Corte Vanvitelli e ha collaborato con Telespazio in occasione del Premio Com&te. È da maggio 2023 responsabile della Comunicazione di Fabi Salerno. Abilitata all’esercizio della professione forense, lavora in una delle principali banche italiane con specializzazione nel settore del credito fondiario.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.