Giorno dei Morti: significato, origine e storia della ricorrenza
Il 2 novembre si commemorano i defunti in quella che viene chiamata la festa dei Morti che per i cristiani è l’occasione per omaggiare i propri defunti.
In Italia, e in tutto il mondo cristiano, il 1° novembre è la festa di Ognissanti. Festività posta ad hoc dalla Chiesa al fine di mitigare il clima pagano e celebrativo della ricorrenza. La festa attuale di Ognissanti risale al VII secolo, quando papa Bonifacio IV trasformò il Pantheon a Roma in un santuario cristiano e, il 13 maggio 610, lo consacrò alla Madre di Dio e a tutti i Santi Martiri. Da allora, “una festa di tutti i martiri”, fu celebrata il 13 maggio. Questa venne poi spostata al primo novembre sotto papa Gregorio IV (827-844) e celebrata in onore di tutti i santi.
Il 2 novembre si commemorano, invece, i defunti in quella che viene chiamata la festa dei Morti che per i cristiani è l’occasione per omaggiare i propri defunti. Non è un caso che la ricorrenza segua quella di Ognissanti, ma affonda le radici nell’VIII secolo, quando “l’episcopato franco la istituì per sostituirla al Capodanno celtico che cominciava all’inizio di novembre”. Soltanto nel 1475 Papa Sisto IV la rese obbligatoria per la Chiesa universale.
La lontana eco celtica sopravvive, ancora oggi, nella festa di Halloween che si celebra tra il 31 ottobre ed il 1 novembre. Le antiche popolazioni celtiche, in occasione del loro Capodanno, erano solite recarsi nei cimiteri dove trascorrevano l’intera notte all’insegna di canti e libagioni. Un’usanza che si basava sulla credenza che, durante i passaggi da un periodo dell’anno all’altro, i morti ritornassero sulla terra. Non a caso, tra l’1 ed il 2 novembre, per i celti ricorreva la festa di Samain, dedicata proprio agli abitanti dell’aldilà.
Fu, quindi, per “cristianizzare” questo Capodanno pagano che la Chiesa franca istituì non soltanto Ognissanti, ma anche la commemorazione dei defunti. La festa del Giorno dei Morti fu celebrata per la prima volta nel cristianesimo intorno al X secolo. Nel 998 d. C., Sant’Odilone, abate di Cluny, istituì una legge che richiedeva a tutti i monasteri della sua congregazione di celebrare il Giorno dei Morti il 2 novembre. A partire dal XIII secolo, la festa fu riconosciuta in tutta la Chiesa Occidentale.
Il legame di derivazione della festa cattolica dall’usanza celtica lo si evince in una serie di credenze secondo le quali, in alcune regioni d’Italia durante la ricorrenza dei defunti i morti ritornano a casa e mangiano il cibo preparato per loro. Una credenza radicata a tal punto da indurre i familiari a seppellire i loro defunti con l’abito della festa affinché si presentassero nel migliore dei modi quando, nella notte tra l’1 e 2 novembre, sarebbero ritornati a percorrere le vie del paese.
In tutta Italia, sopravvive la convinzione che, nella notte tra il 1 e il 2 novembre le anime dei defunti possano ricongiungersi ai propri cari e tornare nei luoghi in cui hanno vissuto. Esistono modi molto diversi per “festeggiare” questa ricorrenza. Tanti anni fa, la notte del 1° novembre, i bambini si recavano di casa in casa per ricevere il ”ben dei morti”, ovvero fave, castagne e fichi secchi. Dopo aver detto le preghiere, i nonni raccontavano loro storie e leggende paurose. In alcune zone della Lombardia, la notte tra l’1 e il 2 novembre molte persone mettono in cucina un vaso di acqua fresca per far dissetare i morti. In Abruzzo si lasciano ancora oggi tanti lumini accesi alla finestra quante sono le anime care. Ma un tempo era anche tradizione scavare e intagliare le zucche e inserire una candela all’interno e usarle come lanterne, proprio come ad Halloween. In Sicilia il 2 novembre è una festa con molti riti per i bambini. Se i più piccoli hanno fatto i buoni, riceveranno dai morti i doni che troveranno la mattina sotto il letto: si tratta di giochi ma soprattutto di dolci, come la frutta martorana e i pupi di zuccaro. In Campania per far sì che le anime si possano rifocillare prima di tornare nel loro mondo, si lascia sulla tavola della cucina un bicchiere di vino, acqua, pane, un pezzo di baccalà alle anime itineranti. Tra i dolci per la ricorrenza il torrone dei morti, costituito da un guscio di cioccolato duro e da una parte interna morbida la cui forma ricorda la bara del defunto. I torroni di piccole dimensioni sono chiamati “morticelli“, e poi ci sono i torroncini a forma di bastoncino detti anche “ossa ‘i muort“, che vengono realizzati spezzettando le mandorle e cuocendoli in un tegamino insieme allo zucchero e all’acqua.
Andando oltreoceano, in Messico le feste di Todos los Santos, che comprendono anche il giorno dei Morti, Dia de Los Muertos, riflettono tradizioni azteche non dissimili da quelle celtiche. I cimiteri sembrano un prato fiorito a primavera, non c’è tristezza ma gioia nella rievocazione dei parenti e degli amici. Per la festa si confezionano dolci di pane in forma di teschi e scheletri a significare che dai morti, dai «semi sotterrati» rinasce la vita, ovvero che i morti “ci nutrono”. Il día de Muertos messicano è diventato patrimonio dell’umanità il 7 novembre 2003.
Nel 1987 il Comune di Torino ha invitato i cittadini ad adornare con i fiori, che l’Amministrazione metteva a disposizione gratuitamente, tutte le tombe e ha mandato nei cimiteri la Banda dei Vigili urbani perché con le sue note gioiose sottolineasse anche la valenza civile della Commemorazione. Infine, per spingere i torinesi a passeggiare nei camposanti al di fuori della ricorrenza, ha distribuito gratuitamente una guida del cimitero monumentale, intitolata significativamente “Le nostre radici”.
Halloween, Ognissanti e i Morti, con tutti evidenza hanno, quindi, un ceppo originario comune che affonda le radici in quell’Europa precristiana lontana parente dell’Europa odierna molto orientata al relativismo e al consumismo, senza memoria.