Mercoledì 26 ottobre, in occasione del ricordo della morte di Enrico Mattei, avvenuta il 27 ottobre del 1962, è stato trasmesso, su La7, un approfondito servizio sulla sua vita di questo imprenditore illuminato, uno tra quelli che hanno portato lustro al nostro Paese.
Era diventato un “competitor” che era riuscito a dare all’Italia l’indipendenza energetica, pestando i piedi ai big mondiali della stessa e della finanza, e per questo ha pagato con la vita.
Enrico Mattei, personaggio dalle tante sfaccettature, aveva intuito che il nostro paese, considerato, non sempre a ragione, povero di risorse, avrebbe potuto diventare, almeno in parte, indipendente dalla energia straniera perché aveva nel sottosuolo giacimenti ricchi di petrolio e di gas, che potevamo utilizzare.
E infatti comparvero in varie zone del paese, e anche lungo le coste del mare Adriatico, trivelle e pedane che per decenni hanno estratto petrolio e gas, fino a quando gli “ambientalisti”, all’inizio autonomamente, successivamente corteggiati e incoraggiati da varie forze politiche, iniziarono una campagna massiccia di opposizione che alcuni partiti alimentarono per conquistare consensi elettorali, che li ripagarono consentendo loro di assurgere ai vertici della politica nazionale e di intraprendere una massiccia opera di ostacolo alle estrazioni dei preziosi materiali, fino a quando esse vennero totalmente impedite.
Una di queste forze politiche è stato il Movimento 5 stelle, che ha cavalcato questa tigre fin dalla nascita, e che oggi è ancora schierato su posizioni oltranziste, e ancora non si rende conto, nonostante la crisi energetica che ci attanaglia anche economicamente, dei danni che ha fatto al paese.
L’Italia attende che l’Ue vari misure contro il caro energia, ma frattanto mette in campo una sua strategia: il nuovo governo targato Meloni ha infatti deliberato la ripresa della estrazione di gas, che ci consentirà di ridurre i disagi derivanti dalla mancata esportazione del gas russo a seguito della guerra con l’Ucraina, cosa che ci sta creando problemi economici enormi.
Certamente i benefici non saranno immediati, anche perché l’avvio delle operazioni di estrazione richiederà tempi tecnici adeguati, ma almeno il governo, dopo gli anni di incertezze e titubanze dei precedenti governi, ha finalmente deciso nella riunione del CdM del 4 novembre.
Fa riflettere la modalità della decisione, assunta non con un decreto specifico, ma tramite un emendamento al DL denominato “Aiuti-ter”: sta a significare che nel mentre si deliberava di aiutare la popolazione per alleggerire le bollette del gas, qualcuno si è ricordato che il nostro gas dormiva quietamente nel sottosuolo, inutilizzato, e che se avessimo riavviato le estrazioni, parte dei sacrifici economici che gravano sul bilancio generale del paese sarebbero stati risparmiati; il pragmatismo del governo è solo da apprezzare.
Ci chiediamo: ma ci voleva un mago di destra per capirlo? Occorreva il governo Meloni per cambiare strada e scegliere una modalità più veloce per riattivare la produzione nazionale di gas?
Con questo emendamento viene autorizzata l’estrazione da giacimenti nazionali con capacità sopra a 500 milioni di metri cubi: si stima una quantità di 15 miliardi di metri cubi utilizzabili nell’arco di 10 anni: a dirlo è stato Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica.
Nel mese di giugno scorso anche l’ex ministro della Transizione Ecologica, Cingolani, aveva detto: “Alla luce di quanto sta accadendo, è arrivato il momento di rivedere il Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) cercando di combinare due cose: riduzione del gas totale e aumento del gas che ci servirà dai nostri giacimenti».
Vediamo in quali zone sono le trivelle autorizzate ad estrarre il gas.
La zona maggiormente interessata è quella dell’Adriatico, al di sotto del 45esimo parallelo, con l’unica eccezione che riguarda il ramo Goro del fiume Po.
Il provvedimento derogherà alle disposizioni vigenti consentendo, per dieci anni o fino ad estinzione, l’utilizzazione nel tratto di mare compreso tra il 45° parallelo (grosso modo all’altezza di Rovigo) e quello passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po, a una distanza dalla costa superiore a 9 miglia e con un potenziale di gas superiore a 500 milioni di metri cubi.
Questo consentirà di escludere la parte più alta dell’Adriatico, salvaguardando Venezia.
Inoltre, l’emendamento prevede il via libera al rilascio di nuove concessioni in zone di mare poste fra le nove e le dodici miglia.
Secondo gli esperti, questa doppia operazione rimette in gioco riserve che vengono stimate in 15 miliardi di metri cubi.
Il consumo annuo di gas nel nostro paese è stimato tra 73 e 75 miliardi di metri cubi l’anno, prevalentemente in inverno; finora circa il 40% veniva importato dalla Russia.
E’ ovvio che il riavvio delle estrazioni non ci risolve definitivamente il problema, ma è certamente un aiuto sotto due aspetti: principalmente quello economico, perché consente un risparmio: ma non è da meno quello politico, perché riavvia un discorso non trascurabile, e cioè che non possiamo rinunciare a risorse che sono nella nostra disponibilità; questo deve valere anche per l’energia nucleare alla quale stupidamente rinunciammo con i referendum del 1987 che fecero chiudere le nostre quattro centrali, senza tener conto che il paese era, ed è, circondato su tre lati da decine di centrali installate e funzionanti in altri paesi.
Per la estrazione del gas la condizione fondamentale è che i titolari delle concessioni presentino analisi e monitoraggi puntuali che escludano il rischio di subsidenza, lo sprofondamento del suolo.
La estrazione sarà riattivata anche nelle acque dei golfi di Napoli, di Salerno e delle isole Egadi, a condizione che si dimostri l’assenza di rischi per il territorio.
L’aggiornamento della mappa delle zone idonee all’estrazione di idrocarburi consentirebbe di portare la produzione italiana di gas da 3,3 a circa 6 miliardi di metri cubi l’anno entro il 2025 e oltre 7 negli anni successivi.
Le trivelle attive, secondo Assorisorse, sono una novantina fra terra e mare, in 15 regioni: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto.
“Assorisorse – Risorse Naturali ed Energie sostenibili” è la nuova Associazione di Confindustria che deriva da “Assomineraria – Associazione Mineraria Italiana”. È costituita da oltre 100 aziende impegnate a valorizzare risorse naturali e competenze intellettuali attraverso l’innovazione tecnologica e l’economia circolare, che hanno come obiettivo la de-carbonizzazione dei processi industriali e la sostenibilità ambientale, economica e sociale.
Secondo quanto previsto dall’emendamento al DL Aiuti ter, le compagnie che chiederanno di poter esplorare e perforare dovranno anticipare immediatamente delle quote di gas a prezzo calmierato che saranno cedute alle imprese energivore; l’anticipo sarà del 75% del gas che le compagnie prevedono di estrarre nei primi due anni, e del 50% per gli anni successivi.
Il prezzo di queste partite di metano è stato indicato tra i 50 e i 100 euro al megawattora; questo significa che se il prezzo sui mercati nazionali e internazionali resterà oltre i 100 euro, scatterà il tetto. A fronte del gas ceduto, gli operatori otterranno concessioni, sempre decennali, per esplorazioni nell’Adriatico.
Il risultato finale che il nuovo governo ha nel mirino è quello di predisporre un piano per raddoppiare la produzione di gas nazionale.
Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, ha spiegato in una intervista qual è la strategia dell’esecutivo.
Secondo il ministro l’Europa è in ritardo sulle misure da adottare; dopo il confronto di Giorgia Meloni con l’Ue, non prevedendo a breve le decisioni comunitarie, l’Italia si deve muovere autonomamente su tutti i fronti, anche quello delle estrazioni e della produzione nazionale, fino a raddoppiare in un anno la produzione di gas, anche grazie a nuove trivellazioni, che potrebbero far diventare l’Italia, in futuro, esportatore del prezioso materiale.
Urso ha anche chiarito che l’Italia, dieci anni fa, produceva 13 miliardi di metri cubi l’anno dagli stessi giacimenti attuali e oggi questa cifra si ferma a 3 miliardi; in questi anni la differenza è stata colmata grazie alle forniture russe, ma ora la situazione è cambiata e dovrà cambiare ulteriormente: “Si può ripartire raddoppiando la produzione dagli attuali pozzi e poi con le trivellazioni nell’Adriatico centrale al largo delle coste, c’è un giacimento comune con la Croazia da cui estrarre 70 miliardi di metri cubi in più anni”, spiega il Ministro.
E’ chiaro che buoni risultati si potranno ottenere anche diversificando le fonti, ma determinanti sono le nostre riserve nel sottosuolo, che dobbiamo sfruttare pienamente.
Attualmente sono circa 90 le trivelle attive in 15 diverse regioni italiani. Tra mare e terra, secondo alcune stime, l’Italia avrebbe a disposizione circa 110 miliardi di metri cubi di gas: 45 certi, 45 considerati probabili e altri 20 possibili ma non sicuri.
Le trivelle oggi si concentrano soprattutto in Lombardia ed Emilia-Romagna e poi sulla costa adriatica (Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia).
Se si decidesse di aumentare le estrazioni nazionali si punterebbe soprattutto sul Canale di Sicilia e sul medio Adriatico. I giacimenti più promettenti sarebbero in Abruzzo, Calabria Emilia-Romagna, Marche, Molise, Puglia, Sicilia e Veneto. Aumentando le estrazioni si potrebbe quindi arrivare a raddoppiare la produzione interna.
E’ facilmente prevedibile che una parte delle forze di opposizione contrasteranno sia la ripresa delle estrazioni, sia il rilascio di nuove concessioni: già il M5S Giuseppe Conte ha minacciato barricate.
Ma, considerato da quale pulpito viene la predica, l’atteggiamento di Conte e delle sue 5.stelle non meraviglia, e se vogliamo risolvere, come è giusto che si faccia, il problema energetico del nostro paese, è indispensabile, indipendentemente dalla contingenza attuale della guerra in Ucraina, che si torni a programmare il nostro futuro su basi razionali, riflettendo sul fatto che oggi la crisi deriva dalla guerra, domani potrebbe derivare da altri accadimenti; e non limitandoci alle sole estrazioni, ma dando una svolta anche per la ripresa del programma della produzione di energia con le centrali nucleari.
Quindi torniamo alle origini, facciamo in modo che il sacrificio di Enrico Mattei di cinquant’anni fa non sia stato inutile, e che porti oggi a soluzioni e risultati non più differibili.