scritto da Rosa Montoro - 17 Novembre 2020 18:58

LIBRI & LIBRI La figlia femmina

Ho appena finito di leggere il libro di una giovane e promettente scrittrice: Anna Giurickovic Dato, La figlia femmina – ed.Fazi Editore – prima edizione gennaio 2017, entrato nella cinquina finale del premio Strega 2017 e vincitore del Premio Speciale Com&Te “Giancarlo Siani” 2017.

Mi colpisce soprattutto la scrittura già ricca e profonda, che si pone nella tradizione del romanzo borghese, avviato dall’Educazione sentimentale di Gustave Flaubert 1869 e proseguita da molti altri, il più noto, per noi italiani,è senz’altro Gli indifferenti di Alberto Moravia 1929.

La figlia femmina di Anna Giurickovic Dato è una ricostruzione psicologica della storia di una famiglia,per così dire, perfetta che nasconde un gran segreto e dove per anni si perpetua un abuso da parte del padre sulla piccola Maria. Il padre è un diplomatico stimato e socialmente realizzato. La voce narrante è la madre, che, a poco a poco, ci trasporta dentro quest’atmosfera ambigua, dove la vita di madre e figlia corre su un binario: da una parte la violenza silenziosa, dall’altra l’immagine sociale di una famiglia impeccabile. La moglie/madre, ci svela il fascino irresistibile di questo maschioforte e sicuro di se,che nasconde la terribile verità, la cui rivelazione la trasporta lentamente lontano dal paradiso che aveva immaginato.

“Tornava a casa stanco, si sedeva in poltrona e metteva in bocca un sigaro, talvolta spento, per il solo piacere di sentire il sapore di tabacco sulla lingua. … Lo avevo adorato, lo avevo pregato, lo avevo aspettato, finché, quando ebbi diciotto anni, mi aveva chiesto finalmente di sposarlo.” (La figlia femmina – ed.Fazi Editore – prima edizione gennaio 2017- cit. p. 36)

Adele, la moglie/madre, come succede spesso non vuole vedere, resiste, mantiene in piedi il quadro impeccabile che ha dipinto e che tutti possono vedere entrando nella sua casa. Quella figlia, però, diventa la scavatrice inconsapevole, incrollabile, che scanala nelle sue debolezze e nelle sue incapacità. La condanna è quella classica: vivere nel senso di colpa di non essere riuscita a proteggerla. “Tremavo all’idea che un giorno avrebbe rotto il guscio con un becco e sarebbe uscita allo scoperto, in balia del mondo armato, lei così piccola e in difesa.” (o. cit. p. 79)

Adele ricostruisce lentamente il racconto, una storia di paure tipicamente femminili, prima tra tutte, la paura di non riuscire a stare al mondo senza la protezione di un maschio.Una paura che in noi donne diventa dipendenza e per la quale siamo disposte a negare l’evidenza, a distruggere le cose più care, come la vita di una figlia.

Quando sembra che la vita di Adele ricominci, il fantasma del marito, il maschio, si ripresenta nel corpo di un altro uomo che insidia la figlia, lasciandosi andare senza controllo ai suoi istinti e pulsioni di sopraffazione.

Un tema classico che ha un finale diverso. Madre e figlia hanno cacciato dalla loro vita e fuori dalla loro casa questo bagaglio ingombrante che le minaccia. Di diverso in questo libro c’è la consapevolezza cui approdano, l’aiuto che si danno e il riconoscimento dell’innocenza della vittima, la figlia, che al contrario impara subito a difendersi e non si fa spaventare dalla paura di rimanere senza padre, senza maschio.

Questo è l’aspetto che più mi ha colpito di questo romanzo.

Aggiungerei, nell’invitarvi a leggerlo, una mia riflessione che faccio da anni. Si è scritto molto sulle donne della borghesia, sulla consapevolezza dei meccanismi ambigui che le rendono insicure e debole, psicologicamente vittime del maschio. È stato sicuramente un bene e come questo libro dimostra c’è ancora molto da dire su come si “aggiornano” le tecniche di vittima/carnefice che portano spesso a tragedie sorprendenti in famiglie “perfette”.

A mio parere questi romanzi rischiano di diventare parte di un pensiero chiuso nella propria classe sociale. La letteratura femminile deve riprendere il confronto con le altre donne, provenienti da altri ambienti sociali, un tempo si sarebbe detto operaie e contadine ma oggi si possono inserire anche impiegate, insegnanti e altre categorie declassate. Queste donne devono vincere la stessa paura: vivere senza la protezione del maschio, spesso con figli a carico. Come fanno? Cosa s’innesca nelle loro teste? Quali ricatti e violenze psicologiche vivono? Come ne vengono fuori?

Io penso che certe paure femminili non si differenzino per classi sociali, come non si differenzia la violenza e il femminicidio. Nei famosi gruppi di “autocoscienza”, degli anni settanta, non c’era distinzione di classe sociale e quello permise di far venire fuori paure comuni che il grado di benessere tentava di coprire e separare dalla differenza di genere.

Voglio terminare con una domanda: la letteratura ha mai superato la divisione di classe?

Da quello che si pubblica e si fa arrivare ai Premi, penso di no. L’attenzione è sempre principalmente riferita al mercato, che si rivolge alla donna borghese che sfoglia libri, mentre le altre purtroppo non leggono molto e la letteratura che parla di loro non si pubblica.

Per esempio, io sono una donna “importata” nella borghesia, ho una visione biclasse, se così si può dire, e sono con vita che le donne borghesi potrebbero imparare qualcosa dalla forza interiore e dalla solitudine in cui resistono le donne meno agiate, spesso meno attrezzate intellettualmente ma con strumenti di difesa e indipendenza maggiore dai maschi.

Anna Giurickovic Dato È nata a Catania nel 1989, ha origini serbe, è cresciuta a Milano, ma vive tra Roma e Parigi. È avvocato, ha un dottorato in diritto pubblico, è scrittrice e sceneggiatrice.
Il suo romanzo d’esordio, La figlia femmina (Fazi Editore, 2017), ha partecipato nel 2017 all’XI edizione della Rassegna letteraria Premio Com&Te vincendo il Premio Speciale Com&Te “Giancarlo Siani”. è arrivato finalista al Premio Brancati 2018 ed è stato tradotto all’estero in cinque paesi (Francia, Germania, Spagna, Portogallo e Romania) ottenendo un largo successo di critica e pubblico. Il grande me (Fazi Editore, 2020) è il suo secondo romanzo. Ha collaborato con diverse testate tra cui Futura – Corriere della Sera, Repubblica, Il Foglio, Donna Moderna, La Sicilia, TPI – The Post Internazionale. È autrice della serie tv di animazione per la RAI Giù dal nido, in onda su RAI YOYO.

Rosa Montoro è nata a Sarno e vive a Cava de’ Tirreni, laureata in Sociologia lavora in un ente pubblico, è sposata e ha due figlie. Ha ricevuto vari premi per la poesia, nel 2017 ha pubblicato "La voce di mia madre", una raccolta di poesie inserita nel catalogo online “Il mio libro” – Gruppo editoriale Espresso. Per la narrativa è stata premiata nel 1997 per il racconto "Il cielo di Luigino" pubblicato nel testo collettaneo “Nuovi narratori campani” dell’editore Guida di Napoli. Lo stesso editore ha pubblicato nel 2000 il romanzo breve "Il silenzio della terra" premiato nel 2001 al Concorso Europeo di narrativa “Storie di Donne” FENAL circoli europei liberi, secondo premio. Infine, "Il Circolo degli illusi", edito da Oedipus - 2018.

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