L’idea, estremamente attuale, di limitare e controllare lo spostamento delle persone, ricorda il concetto di Panopticon, italianizzato in Panottico (da opticon: osservare, pan: tutti).
Il Panottico è un tipo particolare di costruzione, in genere un carcere, ma può essere anche una fabbrica, ideato e realizzato da Jeremy Bentham alla fine del XVIII secolo.
L’edificio del Panottico ha pianta circolare e prevede una torre centrale, all’interno della quale è posto l’osservatore che può controllare le celle dei prigionieri (o operai), disposte a cerchio, con due finestre per ognuna: l’una rivolta verso l’esterno, per prendere luce, l’altra verso l’interno, in direzione della colonna centrale.
Tutti i detenuti sanno di essere costantemente sorvegliati anche se non possono stabilire se lo sono in quel preciso istante. Questo sistema, secondo Bentham, avrebbe naturalmente disciplinato gli abitanti del Panottico.”. Una sorta di teatro greco al contrario, dove al centro non vi è il palcoscenico ma il pubblico, rappresentato da un unico spettatore. Il principio morale è che la “ dissuasione a fare il male deriva dalla consapevolezza di essere costantemente sotto controllo”.
Le teorie di Bentham, metafora di un potere invisibile, hanno decisamente influenzato la cultura novecentesca, si pensi ad esempio al romanzo “1984” di George Orwell.
Nel mondo il modello Panottico è stato utilizzato in molteplici contesti. In Italia ne esistono due esempi: un padiglione presso l’ex ospedale psichiatrico a Siena e, soprattutto, il carcere borbonico sull’isola di Santo Stefano.
Progettato dall’architetto Francesco Carpi su incarico del maggiore del Regno delle due Sicilie, Antonio Winspeare, il Panottico sull’isola ponziana è un vero gioiello architettonico.
Su una pianta a “ferro di cavallo” si dispongono tre piani di archi e logge, per un totale di novantanove celle coperte da volte e precedute ciascuna da un arco che, raccordati, davano vita a due distinte sezioni, dividendo i prigionieri esemplari dai turbolenti. Al centro una cappella esagonale, nonché un ospedale con gli alloggi del personale. I lavori continuarono per anni, con la costruzione di nuove parti che ingrandirono la struttura fino a permetterle di ospitare 900 detenuti.
Al di là del valore architettonico, per il carcere di Santo Stefano passa la storia del nostro paese.
“Ospitò” i rivoluzionari dei moti del 1799 tra cui Silvio Spaventa e Luigi Settembrini. Vi fu imprigionato (e verosimilmente giustiziato) l’anarchico Bresci, l’omicida di re Umberto I di Savoia. E vi furono confinati i prigionieri politici antifascisti, tra cui Sandro Pertini.
A Santo Stefano furono reclusi anche Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, che nel 1941 diedero vita al “Manifesto di Ventotene” che ispirò il concetto d’Europa unita e libera.
Il carcere fu abbandonato definitivamente nel 1965. Oggi è in stato di profondo quanto indecoroso degrado. Spia di un paese che non sa proteggere il suo patrimonio artistico e ne umilia la memoria.
Christian De Iuliis
christiandeiuliis.it – @chrideiuliis
Sulle vicende dei confinati di Ventotene, nel 2019 è stato pubblicato un meraviglioso libro di Wu Ming 1 (Roberto Bui), “La macchina del vento” edito da Einaudi.
In rete esistono numerosi documentari sul carcere di Santo Stefano. Tra cui:
“I grandi dimenticati – Il carcere di Santo Stefano” da Rai Storia https://video.lastampa.it/spettacoli/rai-storia-i-grandi-dimenticati-il-carcere-di-santo-stefano/94165/94174
“La storia del carcere borbonico dell’isola di S. Stefano” di G. Giupponi https://www.youtube.com/watch?v=XR62nNGSFkk
Foto da archivio personale tranne le viste “a volo d’uccello” tratte da: artemagazine.it e edilportale.it