scritto da Mariano Avagliano - 15 Novembre 2017 11:24

Il vuoto della politica

foto tratta dal profilo FB

Uno spettro si aggira per l’Europa diceva qualcuno, qualche annetto fa.

Riprendo Galli La Loggia in suo recente articolo sul Corriere della Sera (“Il vuoto politico e la rassegnazione”, 11 novembre 2017), e dico che, un vuoto si aggira, oggi, per l’Europa e per l’Italia. Uno sguardo alle ultime settimane di politica, tra tarantella Banca d’Italia, legge elettorale ed elezioni in Sicilia, e ci rendiamo conto, resistendo stoicamente alla tentazione di cadere nell’agone dei social, dell’esistenza di un vuoto, una voragine che caratterizza l’intero modo di fare politica, momo’, nel nostro Paese.

Complice forse anche la rapidità e, senza nessun vezzo da radical chic lo dico chiaramente, la superficialità, in alcuni casi lampante, dei social network, i partiti non riescono più a produrre “cultura politica” o meglio, per essere terra terra e semplici semplici, a dire, in base a uno specifico e particolare schema di orientamento che dir si voglia “programma”, “che cosa si deve fare e come”.

Tutti quanti sono bravi a promuovere le “rivoluzioni” (o meglio a lanciarle sulla carta in nome della “secessione” e del “facciamo piazza pulita”) però poi, concretamente, tocca confrontarsi con il contesto, sociale e culturale in cui si sta. E questa, credo, è la cosa meno semplice da fare. È sempre abbastanza semplice parlare e suggestionare lo “stomaco”, anzi il “ventre”, dei cittadini, degli elettori, ma non sempre e, anzi, difficilmente se non dopo grave e lunga spremitura di meningi, riesci a spiegare, concretamente, su fatti e dati reali, le cose da fare per stare tutti quanto un poco meglio e fare in modo che sta benedetta “torta”, concetto che sin da piccoli ci stressa insieme alla “coperta corta”, quando la inforniamo possa esser di anno in anno almeno un pochetto più grossa.

Ecco perché, forse, assistiamo talvolta, nella nostra politica, a un lungo alternarsi, poco avvincente ormai, di “soap” che si trascinano: la legge elettorale, ad esempio, sfido, tra voi che mi leggerete oggi a scrivermi in privato e spiegarmi in 5 righe cosa è il “Rosatellum” (che non ho capito bene manco io tra l’altro). Ma facciamo un salto più in là: quello che interessa non è soltanto sto lato gossip della questione. La cosa rilevante è il tema del vuoto di cultura politica che diventa vuoto politico, nel senso di vuoto di rappresentanza, mancanza di un organismo, un partito – aldilà dei due maggiori partiti che da anni sono ai vertici: Partito della Pagnotta e Partito del Pallone (a proposito avete mai notato quanto un talk show politico sia simile anche nei toni all’opinionismo del pallone?) – capace di aderire e, per quanto possibile, farsi interprete delle aspettative dei cittadini.

Crisi dei partiti mi direte? Senz’altro e sono anche d’accordo. Ma la questione, secondo me, ha anche un’altra sfumatura: riguarda la perdita di valore, in termini di considerazione e rilevanza pubblica, che la politica, intesa come mediazione tra interessi e discussione aperta sulla direzione da prendere, deve avere in un Paese democratico.

Lo so, nel nostro Bel Paese ne abbiamo viste tante di stagioni di “cattiva politica” senza differenza di latitudine e di colore. Ciononostante rimane troppo facile rimanere disillusi e disimpegnarsi perché, poi alla fine, raschia raschia, non è la politica a essere cattiva o a sbagliare, ma chi la fa in modo sbagliato rispetto al mandato di rappresentanza ricevuto dagli elettori.

La politica di per sé, sarà pure una bella da corteggiare, sempre, ma, in sintesi non ha colpa: sarebbe come voler dare allo zucchero la colpa del diabete.

E quindi c’amma fa? Dobbiamo ritornare a vederci “Tribuna Politica” su Youtube? No niente di tutto questo Amarcord che, ve lo dico, ha comunque il suo immancabile fascino.

“I have a dream, a simple dream”: cominciamo a parlare di politica nelle scuole. Ma non solo al liceo per l’elezione dei rappresentanti di istituto a cui affidare il compito di ottenere, per il popolo gaudente, almeno un’occupazione all’anno. Parliamo di politica sin da quando siamo piccoli, alle scuole elementari. Interroghiamoci che cosa sia e quale ne sia il senso. Ma non perché dobbiamo diventare tutti bravi per parlare in un talk show di aliquote irpef ma semplicemente perché si parla di noi e del modo in cui andremo avanti come comunità, prima ancora che come Paese.

Proviamo a uscire da contenuti lanciati e ri-masticati dai social per iniziare a comprendere che soprattutto nel mondo che diventa 4.0, l’auto-organizzazione civile è una grande soluzione di democrazia. Insomma, usciamo dalla sindrome da “riunione di condominio” (chi ne fa l’esperienza sa di cosa parlo) dove per decidere di un solo termosifone partono discussioni “multilaterali” che paralizzano un intero palazzo per poi ritornare, mesi dopo, alla stessa decisione che ha avviato la discussione.

Come sempre, io ne sono convinto, per il paese che siamo, per la cultura che respiriamo, poi ce la caveremo. Però, è pure arrivata l’ora di sapere a che punto siamo del gioco.

Per non trovarsi, tutto d’un tratto, a essere La Qualunque.

Per evitare, semplicemente, che, come già avvenuto nella nostra storia, che un vuoto ne crei, improvvisamente, degli altri.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

Una risposta a “Il vuoto della politica”

  1. 16.11.2017 – By Nino Maiorino – E come si fa a non essere d’accordo? Il punto seguente è: ma cosa possiamo o dobbiamo fare per dare una sterzata, provocare un cambiamento? Io, e chi sa quanti milioni come me, mi sento oramai impotente, e io sono un combattivo e quotidianamente mi attivo scrivendo, leggendo e confrontandomi; ma quanti milioni di cittadini, che aspirano pur’essi a un cambiamento, si sentono come me impotenti, e si rifugiano nel sempre crescente gruppo di coloro che non vogliono più partecipare alla vita politica del paese, iniziando a non votare. Cosa fare?

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