La diversa colorazione del territorio nazionale rispetto al rischio dei contagi da Covid 19 sta mettendo a nudo la disarticolazione di un sistema politico ed istituzionale in sofferenza da un paio di decenni.
Si tratta di crepe strutturali evidenziate dal difficile rapporto Stato/Regioni che rende opinabile ogni atto di governo sia che provenga da Palazzo Chigi che dalle Torri e Castelli dei poteri locali.
Sono fonti delle relative disarmonie le interpretazioni di convenienza degli articoli 117 e 120 del Titolo V della Costituzione e l’impianto culturale ed organizzativo di un sistema di partiti più sensibili alle pulsioni dei sondaggi che alla produzione di idee ed all’impostazione di visioni.
I loro leader ai luoghi naturali dei processi della politica sembrano preferire il tramite del tweet come unico mezzo di confronto più adatto allo scambio di accuse e colpe che a produrre sforzi di analisi per l’assunzione di comuni responsabilità. Fra le tante diatribe andate in onda dalle Alpi a Lampedusa, sono emblematiche quelle intercorse tra il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ed il Presidente della Regione, Vincenzo De Luca, a fronte dell’allarmante ed esplicita richiesta di colorare in rosso la Campania, o parte di essa, avanzata, da tanto tempo, dal consulente scientifico del Ministero della Salute, Walter Ricciardi.
Nel caleidoscopio delle disarmonie rientra la vicenda della Calabria e non mancano discordanze di valutazioni anche da parte di organi giurisdizionali sulla priorità della tutela del diritto alla saluta rispetto a quello all’istruzione e viceversa. Sull’argomento hanno fatto scuola i TAR di Bari e Lecce.
Si capiscono, ma non si giustificano, in questo frastuono i segni di manifestazioni di disobbedienza che mettono in discussione la credibilità delle istituzioni, le garanzie del diritto ed i lumi della scienza. Perciò, non è corretto riversare soltanto sui comportamenti maldestri di cittadini strafottenti l’estensione dell’epidemia.
Qualcosa è venuta meno o è sfuggita di mano nella politica di prevenzione e preservazione della salute pubblica a chi ne ha competenze e poteri da esercitare. Da qui il balletto di chi doveva e deve fare cosa, intrecciato tra organi di governo centrale e locali, appellandosi gli e gli altri alla Carta costituzionale che assegna alle Regioni la competenza in materia di Sanità ed al Governo di sostituirsi ai loro organi quando si tratta di garantire “l’incolumità e la sicurezza pubblica” (Art. 120 Cost.).
La risposta all’invocazione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per una leale collaborazione dei diversi livelli istituzionali non sembra avere interpretato il messaggio, avendo le forze politiche mantenuti i loro punti di vista; alcune di esse hanno buttato il pallone in tribuna, come si suol dire in termini calcistici, indicando, come via d’uscita, una revisione del Titolo V della Costituzione, improponibile in questo momento di pandemia anche economica e sociale.
Gli italiani non meritano fughe e prese per i fondelli né di essere selezionati e governati da algoritmi che per loro natura espropriano alla politica i valori del confronto e della rappresentanza democratica. Sarebbe l’eredità più inquietante della pandemia insieme all’oblio delle funzioni del Parlamento, dimezzato e bypassato dalla prassi dei DPCM.
Perciò, vale la pena tenere in mente la seguente frase di sintesi contenuta nella pubblicazione “La matematica è politica” di Chiara Valerio: “La democrazia non istiga alla colpa, ma alla responsabilità”, ed essa, cosi come la matematica, “non subiscono il principio di autorità dell’urgenza”.