Non chiamatele lingue morte. Perché il latino e il greco ci parlano ancora oggi
Lo studio del greco e del latino allena lo spirito critico e aiuta anche ad imparare a scegliere, a mettere in discussione, a ragionare. Non solo, la traduzione aiuta ad empatizzare.
Gennaio, tempo di scelte per gli alunni che frequentano la terza media. Nella vastità dell’offerta didattica attuale, scegliere non deve esser semplice per un tredicenne.
Ogni anno, da quando ho memoria, il topos ricorrente vuole che, tra le scuole secondarie di secondo grado, il liceo classico viva un periodo di declino. Anche lo scorso anno, un articolo del Corriere della Sera titolava “Addio al classico, i «nuovi licei» battono quelli vecchi”. In effetti, i dati offerti dal Ministero dell’Istruzione e del Merito dicono che al liceo classico si iscrive solo una piccola percentuale degli alunni (5,8%), in caduta libera in Lombardia.
Insomma, mala tempora currunt per il liceo classico? In realtà, non ne sono così convinta. La sensazione è che si tratti più che altro proprio di un topos, un luogo comune.
Da quando ho memoria, il liceo classico non è la scuola più gettonata. Ma come mai? Possibile che il vulnus sia nella scarsa attrattività verso il mondo del lavoro? La domanda mi sembra sbagliata a priori.
Da una parte, dubito che davvero a tredici anni si possa scegliere la scuola in base al lavoro che si vorrebbe fare da grande. Sono rari i casi in cui si ha una vocazione talmente chiara sin da piccoli.
Dall’altra parte, scegliere la scuola in base alla utilità pratica della stessa verso il mondo del lavoro anziché per la capacità di formare gli individui e i cittadini del futuro mi sembra un errore di valutazione (e anche un cattivo consiglio).
Condicio sine qua non per una scelta consapevole dovrebbe allora consistere nel partire senza pregiudizi e, anziché pensare che il latino e il greco siano lingue morte, domandarsi al contrario perché studiarle ancora.
Inoltre, l’assunto secondo cui inserire il liceo classico nel proprio curriculum non sia utile o attrattivo per il mondo del lavoro si basa evidentemente su un pregiudizio. Siete proprio sicuri che il mondo dei big data sia un mondo non adatto agli studenti del classico?
Pecco forse di ybris affermando con cognizione di causa che penso sia proprio il contrario ma mi sento di sostenere che, davvero, come dice qualcuno, lo studio del greco e del latino allena lo spirito critico e aiuta anche ad imparare a scegliere, a mettere in discussione, a ragionare. Non solo, la traduzione aiuta ad empatizzare.
Cosa sto dicendo? Ve lo mostro. Chiunque si sia trovato al cospetto di un testo da tradurre con un dizionario in mano avrà avuto innanzitutto la necessità di mettere in fila gli elementi della frase, assicurando ad ognuno il suo posto. Come in un rebus, la soluzione è a portata di mano, se la si sa guardare. Individuare in una lingua diversa qual è il soggetto, quale il verbo, quali i complementi non è operazione semplice, per alcuni non lo è neanche nella propria lingua madre. Tuttavia questa capacità logica , di comprensione, è fondamentale per capire qualsiasi cosa, anche un testo di biologia, per dire. Ma, una volta sistemati gli elementi della frase, dizionario alla mano, il giovane traduttore ha un’altra sfida: deve trovare la parola più adatta a rendere il significato del testo. Il dizionario propone più significati per ciascuna parola: quale scegliere? Come far funzionare meglio la frase? Come rendere con le parole giuste ciò che l’autore voleva dire?
La scelta non è mai semplice, ci si può sentire smarriti, si può prendere una cantonata, lo studio della grammatica serve ma non basta, allora bisogna armarsi di coraggio: mettendoci passione e, come dicevo, empatia, si può trovare il senso più profondo di un testo. Io ricordo ancora come una epifania la scoperta del senso e la meraviglia di riuscire a tradurre, portar fuori letteralmente il significato da un testo inizialmente oscuro.
Provando e riprovando, anche il meno volenteroso, acquisisce una forma mentis, che non si perderà neanche dopo anni. È come imparare a nuotare.
Vi sembra inutile? Provateci allora. Dopo, non vi sembrerà difficile neanche una equazione, una formula chimica, un codice informatico, davvero gli strumenti che avrete messo in campo vi serviranno nei settori più disparati.
Tuttavia, perché imparare a tradurre il latino e il greco quando si può imparare a tradurre il francese o il cinese o a risolvere funzioni matematiche?
In primis, perché a latere della traduzione sic et simpliciter, il pensiero greco e poi quello latino sono i pilastri della nostra cultura e non conoscerli ci fa perdere per sempre di vista non solo da dove veniamo ma, in fondo, anche chi siamo.
Panta rei (tutto scorre) , carpe diem (cogli l’attimo), alea iacta est (il dado è tratto) e così via, non sono modi di dire ma stralci di classici latini e greci che farebbe bene conoscere, almeno per non fare citazioni a caso.
Lo so che risveglio in voi brutti ricordi ma le varianti del Covid da alpha ad omicron avevano preso proprio tutte il nome delle lettere dell’alfabeto greco e sì, in ordine alfabetico. Anche i medici, scienziati non umanisti, si dice, il greco lo conoscono e, incredibile, lo usano.
E che cittadini saremo se sentendo parlare di ius soli, non sapremo da che parte stare? O disinteressandoci della Repubblica e della politica, sarà perchè, non conoscendone l’etimologia, ne avremo dimenticato il senso?
Dulcis in fundo, non tacciatemi di essere una antica conservatrice perché, se imparate il latino, andando in banca saprete che lo specimen è proprio il modello della vostra firma e non un uomo venuto dallo spazio (spaceman) e l’agenda che tanto desiderate, nient’ altro è che “le cose da fare”.
Se ancora non vi ho convinti dell’utilità del greco e del latino, come un deus ex machina arriva in mio soccorso il libro di Andrea Marcolongo “Perché studiare latino e greco (non) è inutile. Ora buca”, magari lei riuscirà in una captatio benevolentiae migliore della mia.
Post scriptum: Se siete riusciti a seguirmi in questo excursus , probabilmente allora il latino e il greco fanno parte di voi più di quanto voi stessi immaginiate. Io mi sono divertita tanto ad infarcire il discorso di termini latini e greci (in grassetto corsivo) di uso comune ancora oggi. Almeno che non sono lingue morte credo di averlo dimostrato. Potete provare anche voi, scoprirete tantissime altre parole. Cosa vogliamo fare allora? Rinnegare in toto questa eredità o conservarla, custodirla e trasmetterla?
Anche il mio commento può sembrare di parte come l’articolo. Anche io ho fatto il liceo classico, ma quando le alternative non erano tante come oggi. Il latino ed il greco sono stati a lungo la mia croce anche con giornate di studio estive di mala voglia, ma alla fine hanno lasciato la loro impronta.
In seguito ho scelto una facoltà scientifica, con discreto successo ed ancora oggi dovendo indicare le mie preferenze i numeri e le equazioni superano di gran lunga le lettere e le costruzioni letterarie … anzi ho ancora difficoltà con l’ortografia e non smetto di interrogarmi sull’uso delle doppie.
Di sicuro il liceo classico ha ampliato i miei orizzonti e mi ha dato una sicurezza che non credo avrei raggiunto con un approccio esclusivamente tecnico.
Non credo che le prospettive di lavoro abbiano orientato le scelte di un tempo che semai, più che mie furono dei miei genitori, ma sono convinto che in un colloquio di lavoro gli elementi essenziali siano caratteriali (attenzione, curiosità, empatia …), mentre i test danno solo delle indicazioni di massima.
D’accordissimo! Abbiamo penato sul latino e sul greco! Ci sembravano inutili. Oggi sono parte della nostra base culturale e linguistica. Usiamo regolarmente un’infinità di frasi perché nessuna frase della lingua corrente é tanto espressiva ed essenziale come quelle latine. La cultura dell’occidente anche di origine anglosassone vi continua ad attingere.