Non poteva non riaccendere i fuochi, mai completamente sopiti, dell’antico conflitto politica-magistratura, con srotolamento dei vessilli guerreschi d’ordinanza, l’intervista del presidente di Anm Piercamillo Davigo, guest star nel ventiquattrennio che fu dell’epopea di Mani Pulite.
E’ da condividere la considerazione amarissima che il magistrato fa del precipizio etico in cui si dimena la vita pubblica nazionale, aggiungiamo noi, però, sia nella privata quotidianità dei cittadini che nell’esercizio delle funzioni dei pubblici ufficiali.
Davigo rileva una differenza tra il malaffare di ieri e quello di oggi in una specie di mancanza di senso del crimine, che non è una scusante, della partecipazione all’atto illecito oggi, rispetto al velo di vergogna che avvolgeva il reo di ieri. Il che fa venire qualche brivido: vorrebbe dire che un salto antropologico si è verificato nel comune sentire del paese e nei suoi legittimi rappresentanti.
Non mi pare, però, che sia una buona pedagogia della terzietà magistratuale dire (poi correggere) che tutta la politica è marcia: è come invocare la notte delle vacche grigie in cui ognuno è autorizzato ad aggiungere la sua porzione di buio. Per ragioni legate al mio lavoro parlamentare ho condotto una ricerca di diritto comparato relativa agli ordinamenti giuridici degli Usa, del Canada,del Regno Unito, della Francia, della Germania e della Spagna. I temi: conflitto d’interessi, lobbysmo, lotta alla corruzione. I risultati sono illuminanti: in nessuno degli Stati che ho analizzato il livello di considerazione nei confronti della politica e dei suoi rappresentanti nelle istituzioni può essere considerato soddisfacente o, almeno, entro una linea di sufficienza.
L’ostilità è palpabile dappertutto e maggiormente nei paesi in cui più acuta si manifesta la crisi economica. Ma, quel che è più impressionante, la percezione del livello di corruzione nell’ambito del “pubblico” è molto alta anche nei paesi che non registrano fenomeni “storici” di presenze criminali come la mafia, la camorra e la n’drangheta.
Che vuol dire questo? Vuol dire che il tema della necessità di un innalzamento della soglia morale dell’azione svolta dai rappresentanti del popolo è condiviso in tutto il mondo democratico e si tenta di porvi riparo con le buone leggi e la responsabilizzazione di tutti gli attori della partita.
E da noi in Italia? Agli albori della democrazia repubblicana, e fino alla grande crisi degli anni novanta, l’etica pubblica veniva garantita dai partiti politici e dalla dialettica democratica che fra loro si svolgeva. Ai partiti era affidata la selezione e la formazione delle élite politiche, la costruzione ed il mantenimento di un rapporto con il corpo elettorale, la sana mediazione tra governanti e governati. Poi qualcosa di irreparabile è avvenuto: si sono rotti i partiti e la narrazione politica è diventata solo un comizio ininterrotto tra leader e masse.
L’esperienza di una comunità politica, che si identificava in un partito, dunque in un “sentire” collettivo, è diventata la ricerca solitaria di singoli dell’affermazione personale: se c’è anche un po’ coscienza e di cultura, resta un posticino anche per il bene comune. In mancanza, l’esposizione alla tentazione del potere diventa assai pericolosa.
Che fare,allora? Si dovrà agire su due leve: la ricostruzione di un’etica pubblica lavorando, come fanno gli altri paesi democratici, sui codici comportamentali dei rappresentanti del popolo, con l’applicazione della sanzione più pesante in politica, quella della pubblicità. E poi la riprogettazione del modo di organizzare la politica dopo la fine del partito novecentesco: occorre una élite all’altezza della situazione, mossa da passione e non da brama di potere.
L’etica pubblica, in fondo, è un antico slogan democristiano che diceva così: “la politica è servizio”. Come anche la magistratura. (foto Michele Mari)
24.04.2016 – By Nino Maiorino – Condivido l’analisi di Pino Pisicchio, e in particolare l’affermazione che “la politica è servizio”, che non definirei come vecchio slogan democristiano, in quanto il sacrosanto ruolo della politica è appunto “il servizio” in favore del Popolo e dello Stato. Se non si torna a tale etica lo scollamento fra popolazione e politica sarà sempre maggiore e sarà sempre più difficile il recupero della credibilità della classe politica,
Una domanda: ma sono consapevoli i politici di tale pericoloso scollamento? E cosa fanno per accelerare il processo di recupero e far tornare il loro ruolo a quello del “servizio” che tutti invocano ma che sembra relegato al marginale ruolo di “slogan”?