Tra polemiche e malumori il Movimento 5 Stelle ha scelto con il voto on line Luigi Di Maio quale candidato premier alle prossime elezioni politiche.
In proposito, i commenti, molto dei quali sprezzanti, e gli sfottò non sono proprio mancati, anzi. C’è da chiedersi, a questo punto, ma quella di Di Maio è una candidatura all’altezza del compito o no? La risposta è almeno duplice. Se pensiamo alle capacità di governo del Paese, peraltro complesso e problematico come il nostro, qualche dubbio, e pure grande, c’è. E non riguarda solo Di Maio, ma l’intera classe dirigente del Movimento. Le vicende capitoline, d’altra parte, sembrano essere un precedente abbastanza eloquente. Se pensiamo, invece, alla capacità di Di Maio di attrarre voti e di saper gestire la campagna elettorale per le politiche, allora il discorso cambia e sarebbe un errore sottovalutarlo.
Sia chiaro, siamo tra quelli cui, a pelle, Di Maio piace poco, e non da adesso. Inutile negare che viene percepito come un tipo bravo nel gioco delle tre carte, del furbetto napoletano, tirato a lucido, ben vestito e impomatato, pronto a darti il classico pacco. Questo, a prescindere dai suoi incerti congiuntivi, dalle sue imbarazzanti ignoranze storico-geografiche, dal suo essere uno senza arte né parte miracolato da Grillo.
Detto ciò, l’impressione è che però quella di Di Maio quale candidato premier sia per i Cinque Stelle una scelta azzeccata.
Sarà pure giovanissimo, con scarsa esperienza e poco o per nulla competente, ma il ragazzo è più che presentabile. Sa gestire il mezzo televisivo e la comunicazione in genere. E’ scaltro come un politico dell’ancien régime. E’ abile nella gestione dei rapporti all’interno e fuori dal Movimento. E’ un dritto che ha capito l’importanza di apparire rassicurante per l’establishment senza per questo confondersi con chi appartiene a quell’élite, detestata dal popolo minuto e non solo da quello pentastellato. Non a caso, con nonchalance è andato pure a genuflettersi a San Gennaro, né più né meno come hanno fatto tutti gli altri politici. Insomma, Di Maio può, per tanti versi, anche far venir qualche prurito di disapprovazione a più di un militante pentastellato, ma di sicuro ha le carte in regola per essere sufficientemente convincente e attrattivo per segmenti di elettorato prossimi, ma non ancora catturati dalla proposta politica del Movimento Cinque Stelle.
A ciò si aggiunge il fatto che Di Maio ha dalla sua il fatto di essere un giovane intraprendente, nella vita disoccupato come tanti suoi coetanei, in pratica, uno qualunque, anzi, un uomo qualunque che tanto piace a quella parte cospicua del Paese che ha sulle scatole la politica e la casta, anzi, le caste. E Di Maio è il migliore interprete della favola, una specie di Pretty Woman della politica, del Signor Nessuno che punta alla carica più importante d’Italia.
In conclusione, Di Maio ha le physique du rôle per essere il candidato premier e c’è da scommettere che di sicuro sarà un osso duro per i suoi competitor. E servirà a poco canzonarlo o non prenderlo sul serio, anzi, forse questo è il modo migliore per portare acqua al suo mulino. Meglio stringerlo sulle soluzioni da dare ai problemi del Paese. Alla gente, quella comune, in fondo interessa poco della politica se non per quegli aspetti, e sono tanti, che toccano il loro portafoglio.
30.09.2017 – By Nino Maiorino – Caro Pasquale, andiamo sempre più in basso. Rispondo con un passo del Paradiso di Dante. Nel 6^ canto del Purgatorio Dante, dopo aver incontrato Sordello da Goito, grande scrittore italiano del Duecento in langue d’oc, si lancia in una vera e propria invettiva, dapprima contro l’Italia del suo tempo, dilaniata da lotte intestine, nido di corruzione e di decadenza, come se fosse una bestia selvaggia contraria ad ogni disciplina e ad ogni legge, poi contro Firenze, la città nativa che lo ha ripudiato costringendolo all’esilio.
E alla dolorosa rappresentazione di una società in cui sono banditi i supremi ideali dell’ordinato vivere civile, si aggiunge l’invocazione, quasi disperata, ad un soccorso divino.
L’invettiva si risolve in un compianto, che coinvolge imperatori, gente di chiesa, comuni e signorie, fazioni cittadine e famiglie gentilizie, tutti posti sullo stesso piano, colpevoli e vittime.
Ma chiediamoci: l’Italia da allora è veramente cambiata?
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello!
Quell’anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon della sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
di quei ch’un muro e una fossa serra.
Ah, Italia asservita agli interessi di signori arbitrari, luogo di sofferenza, priva di un governo autorevole e in balia degli eventi, non più padrona di ampi territori, ma postribolo!