Il presunto finanziamento occulto venezuelano, anche se non è vero, mette in mora il M5S per effetto della sua stessa dottrina del sospetto elevato ad anticamera di colpevolezza.
Ne è vittima più di ogni altra forza politica incappata in casi analoghi. Riecheggiando il detto napoletano “Giacchino (Murat) mettètte ‘a legge, Giacchino fùje accìso”, i pentastellati avrebbero l’occasione per dare senso ad un loro comandamento fregiando sulla loro pelle i segni del rigore moralistico preteso per tutti gli operatori della politica insediati nelle istituzioni.
Ed invece se la prendono con i giornalisti a loro dire politicizzati. Sul caso specifico se ne capiscono le irate reazioni al fango schizzato da una “Fake news”, probabile fino a prova contraria, mentre non sono ricevibili le accuse di becera speculazione rivolte alle testate che le hanno dedicato ampio spazio.
E’ una questione di galateo non sempre riconosciuto nel mondo dei politici rispetto ad un’informazione fondata sul pluralismo delle voci, la completezza delle notizie vere o presunte false e spiegate con relativi approfondimenti.
Il dossieraggio è un’antica pratica distorsiva del leale confronto democratico. Ne sono pieni gli archivi della storia politica, non solo italiana. E’ stato ed è uno strumento di lotta fra caste di cui, ora, sono attori attivi o passivi anche i pentastellati da quando il loro Movimento ha assunto responsabilità istituzionali.
Nel passaggio dalle piazze del Vaffa-day all’ingresso a Palazzo Chigi è cambiato il paradigma della loro presenza politica, la cui metamorfosi non completamente metabolizzata inquieta il popolo grillino. Sarà la magistratura inquirente a verificare la fonte del documento che accredita origine e destinazione del presunto finanziamento venezuelano; resta in sospeso l’empatia pentastellata per il regime di Chàvez e Maduro incompatibile per una forza di governo di un Paese democratico.
Si tratta di un dato politico che si aggiunge ad altre due attrazioni per i regimi vigenti in Cina ed in Iran, anch’essi in competizione con i valori delle democrazie occidentali di cui l’Italia fa parte.
Sono ambiguità che, sommate alle mancate risposte sui fatti raccontati dal consigliere del CSM Nino Di Matteo in materia carceraria, sviliscono il grido di “onestà, onestà” della Piazza in una rima con “omertà” di Palazzo.
Si attende solo chiarezza: il solo antidoto credibile contro il virus del sospetto.