La notizia sensazionale è venuta fuori il 18 luglio e ad essa questo giornale ha dedicato diverso articoli, anche perché Fra Luigi Petrone è un personaggio notissimo, e non solo a Cava.
Il fulmine a ciel sereno è che Fra Luigi Petrone, ormai ex frate, si candiderà con una sua lista alle elezioni di settembre per la carica di Sindaco.
Visto che la cosa è confermata, nei prossimi due mesi avremo di che “divertirci”: si movimenterà non solo la sonnacchiosa estate cavese (che si movimenta solo per la caotica movida del venerdì e del sabato sera) ma anche gli ultimi due mesi del sonnacchioso quinquennio Servalli.
Ma prima di proseguire voglio definire cosa intendo per ”Poteri Forti” a Cava, cioè le organizzazioni ecclesiastiche, la provincia dei frati francescani, la lobby dei ristoratori, quella di tanti commercianti, l’amministrazione cittadina, e tutti quelli che hanno avuto qualche screzio con Fra Gigino; il quale non ha fatto mancare le critiche per i suoi comportamenti passati, scontrandosi con l’Arcivescovado, la Provincia francescana, sottraendo clienti ai ristoratori, pretendendo l’obolo quasi obbligatorio quando girava per la questua, pretendendo che anche l’amministrazione cittadina fosse sempre disponibile ad accogliere le sue richieste.
Prima di portare il mio contributo personale a questa vicenda, desidero citare un episodio che tanti anni fa mi ha toccato personalmente, quello di un altro Frate francescano, dell’Ordine Monastico dei Cappuccini, che, unitamente a due confratelli, tutti anziani, viveva sulla collinetta di Sant’Andrea a Nocera Inferiore in un monastero danneggiato dal terremoto del novembre 1980.
Uno dei tre era Fra Paolino da Nola, che conoscevo personalmente.
Il Convento dei Frati Cappuccini era stato seriamente danneggiato dal terremoto del novembre 1980; la Chiesa si era salvata, ma la parte rimanente, comprese le celle dei frati, era seriamente danneggiata.
Ciononostante la Provincia napoletana dell’Ordine si era intestardita a tenere aperta la chiesa e l’annesso convento, ed i tre anziani frati vivevano in condizioni quasi disumane in tre celle alle quali mancavano anche gli infissi alle finestrelle, i pavimenti erano quasi distrutti, c’era solo l’acqua fredda.
Tra l’altro i tre frati non avevano nemmeno la possibilità di andare in giro per la questua, l’età e le condizioni di salute non consentivano loro di scendere e risalire la collina, a piedi, e pertanto si nutrivano di ciò che i fedeli portavano loro; insomma vivevano nella più completa povertà.
Qualche anno dopo il terremoto, con l’inizio dell’inverno, Fra Paolino chiese “la carità” di una stufetta elettrica per riscaldarsi nella fredda cella; non ebbi l’occasione di portargliela, mi precedette un altro benefattore, ma quella stufetta fu il suo martirio: per scaldarsi l’aveva messa accesa sotto la tonaca, si era addormentato, la tonaca prese fuoco e Fra Paolino morì bruciato.
Per mesi avevo pregato, supplicato, implorato la Provincia napoletana dei Frati Cappuccini (all’epoca era alla fine del Corso Vittorio Emanuele a Napoli, dove mi recai personalmente) di chiudere il convento e trasferire i tre frati altrove.
Non ci fu verso, non ascoltarono, non si resero conto, nonostante anche articoli sulla stampa locale, tra i quali il “Risorgimento Nocerino”.
La Provincia francescana napoletana avrebbe potuto risolvere il problema e salvare Fra Paolino; non lo volle fare, ma il problema lo risolse il Padreterno; dopo la morte del frate gli altri due frati vennero finalmente trasferiti.
Qualcuno mi chiederà il motivo del collegamento di questo triste ricordo con la vicenda di Fra Gigino e lo spiego subito.
In tanti ambienti vi sono “poteri forti” che, se vengono toccati, infieriscono senza pietà, e purtroppo neanche le organizzazioni ecclesiastiche e monastiche ne sono esenti.
E anche le ultime traversie di Fra Gigino lo confermano, considerata la emarginazione nella quale è stato relegato.
D’altra parte, non è il solo frate o il solo religioso penalizzato da decisioni delle autorità ecclesiastiche, ridotte a organismi burocratici che decidono a distanza senza tener conto della realtà sociale nella quale vivono i religiosi che sono il loro bersaglio; la storia della chiesa, anche recente, ce ne ricorda qualcuno anche illustre, come Padre Pio, poi santificato, oltre che il locale Fra Paolino del quale ho appena scritto.
Dopo il “trasferimento” da Cava a Nocera Superiore, relegandolo al ruolo di subalterno degli altri frati, la Provincia francescana ha preteso che Fra Gigino non facesse più nulla, impedendogli finanche di celebrare la Santa Messa al di fuori del Convento dove era esiliato.
Né le altre autorità ecclesiastiche cavesi hanno fatto di meglio: nonostante la penuria di celebranti, nessuno ha voluto che Fra Gigino venisse a celebrare gratuitamente nelle chiese cavesi.
Insomma, c’è una barriera, una convergenza di poteri forti contro questo frate da parte della Comunità religiosa della quale fa parte, dell’Arcidiocesi Cava-Amalfi che non ha mosso un dito, delle forze politiche ed economiche che non l’hanno mai amato o tollerato, della stessa amministrazione cittadina che non ha mosso un dito per evitargli l’esilio e che ora se lo trova contro, avversario temibile nelle prossime elezioni amministrative, e per l’attuale Sindaco uscente è una brutta gatta da pelare.
Quindi le chiusure e gli ostracismi che Fra Gigino ha subito lo hanno spinto verso il passo definitivo, l’abbandono dei voti, cosa che gli ha consentito di aprire il noti locale a Nocera Superiore, “ ‘U Monaco ”, inizialmente solo pasticceria, ora anche ristorazione, che richiama tanta gente; e ora di candidarsi.
Ormai è un laico a tutti gli effetti, anche se per la popolazione rimane sempre “Frate Gigino”.
Giunti a questo punto è legittimo chiedersi cosa debba fare una persona attiva, volitiva, che ha sempre operato per il bene della sua comunità e desidera ancora farlo, cacciato dal suo convento, “suo” anche perché l’ha ricostruito quasi dal nulla, una persona alla quale viene finanche impedito di esercitare la principale attività sacerdotale, quella di celebrar messa, se non all’interno del convento nel quale è stato esiliato.
Cosa dovrebbe fare se non un passo indietro, rinunciare ai voti e mettersi al servizio della sua gente, anche da laico, specialmente se sa, per esperienza ventennale, quanti lo seguano e lo apprezzino.
La ennesima conferma di ciò è data dalla inaugurazione del locale “ ‘U Monaco ”, da lui aperto qualche tempo fa a Nocera Superiore al fianco di McDonald, che richiamò tanta gente che a un certo punto non fu più possibile entrare.
Io sto parlando di poteri forti, che agiscono con estrema durezza contro chi, nelle strade, si industria per stare vicino alla gente, per creare momenti di aggregazione intorno alle chiese ed ai conventi, come quelle, per intenderci, che colpirono anche Padre Pio, al quale venne persino impedito di celebrare in pubblico, e i confratelli gli dovettero allestire un altarino privato nella cella.
Ovviamente non ho la minima intenzione di paragonare Fra Luigi Petrone a Padre Pio o a Fra Paolino del quale ho appena scritto, ma fa riflettere la coincidenza delle storie e la durezza dei comportamenti.
Tutti ricordano, o dovrebbero farlo, cosa fosse la Basilica di San Francesco e l’annesso convento dopo il terremoto, e ricordano, o dovrebbero ricordare, come fossero trascorsi vent’anni senza che nessuno avesse mosso un dito per ristrutturarli; erano stati abbandonati a se stessi ed ai vecchi frati, senza che nessuno si fosse preoccupato nemmeno di avviare le pratiche per la ricostruzione con i benefici delle leggi post-terremoto (dei quali fruì abbondantemente la chiesa del Duomo, la quale era stata abbandonata a se stessa e per il mancato controllo era stata fatta man bassa su ciò che conteneva, tanto che vennero rubate persino le balaustre dell’altare); allora la Provincia francescana, ora tanto solerte, si dimenticò dell’antico e prestigioso Santuario.
Fra Gigino si rimboccò le maniche e mattone dopo mattone riuscì, in vent’anni, a ricostruire la chiesa, poi il convento, che da macerie diroccate divennero nuovamente luogo di aggregazione dei fedeli, e non solo per i riti religiosi.
La chiesa e il convento di San Francesco e Sant’Antonio erano finalmente rinati, molto più belli di prima, e attiravano migliaia di fedeli.
Fino al completamento della ricostruzione Fra Gigino è stato lasciato libero di lavorare, ricostruire, ridare lustro alla comunità francescana.
Ma come avviene dappertutto, e le comunità ecclesiastiche non fanno eccezione, fino a quando il limone dà succo lo si lascia in vita, quando poi non è più possibile ottenere altro, lo si butta nella pattumiera.
E questo è capitato a Fra Luigi Petrone, e non c’entra tanto il suo carattere, perché, piaccia o no, proprio grazie ad esso chiesa e convento sono stati ricostruiti.
Io, nonostante tutte le riserve sugli errori fatti in passato da Fra Gigino (ma solo chi non opera non sbaglia) ritengo non sia giusta la durezza con la quale è stato ripagato.
E se Fra Luigi ha ancora voglia di mettersi in gioco per il benessere della comunità, non credo che sia stato corretto costringerlo a rinunciare ai voti.
Queste sono le domande che tanti dovrebbero porsi, e magari fare qualche esame di coscienza per interrogarsi, davanti a Dio, se i loro comportamenti siano stati irreprensibili.
E interrogarsi anche se non fosse stato meglio per le comunità ecclesiastiche e cittadine avvalersi ancora delle potenzialità del vulcanico frate, evitandogli di rinunciare ai voti.
Come in tutte le cose, bisognerebbe sentire anche l’altra campana.