Cava de’ Tirreni, ma la nostra città è oramai inesorabilmente perduta? Forse sì
Se vediamo il suo stato attuale -tra debiti e ammanchi dalle casse comunali, un Ente Comune ridotto a verminaio, una politica cittadina prossima alla pattumiera- a prevalere è indiscutibilmente lo scoramento

Quest’oggi abbiamo pubblicato un’intervista ad una personalità di prima grandezza -per cultura, esperienza, competenza e professionalità- della società civile metelliana: l’avvocato Francesco Accarino.
Inutile sottolineare quanto essa risulti corposa e interessante. Tra i tanti, troppi spunti di riflessione, poniamo la nostra attenzione su quelli che più di altri ci consentono di sviluppare un ragionamento sull’attuale realtà politico-amministrativa cittadina.
Partiamo dal Consiglio comunale, l’istituzione di rappresentanza democratica che negli ultimi anni risulta tra le più sbiadite se non svilite. Bene, l’avvocato Accarino spiega una delle ragioni più vere e profonde di queste decadimento, vale a dire il sistema di voto uninominale per il consigliere comunale, adottato con la riforma dell’elezione diretta del Sindaco del 1993. Un sistema che ha portato ad “un impoverimento dei consigli comunali, impedendo all’elettore di aggiungere ad un voto di scelta (persona adatta) un voto di opinione da assegnare ad una persona di rilievo (un pensatore)”.
Per i più giovani è utile ricordare che sino al 1993 era possibile per gli elettori esprime dei voti di preferenza plurimi. Nella nostra città, in relazione al numero degli abitanti e quindi della composizione del Consiglio comunale, ciascun elettore poteva esprimere fino a quattro voti di preferenza, potendo quindi indicare altrettanti candidati al Consiglio comunale.
“Dal 1993 -spiega Accarino- è scomparso il Consigliere “cerebrale“, cioè quello che riceveva il voto di consenso personale per l’equilibrio e l’autorevolezza. Il voto secco avvantaggia chi più si promuove, chi consegue maggiore visibilità. Peraltro il voto secco consente la “conta” nei seggi elettorali, dove il voto è radiografato. Conseguentemente i consigli sono stati un po’ depauperati di consiglieri autorevoli”.
A ciò, in questi ultimi trent’anni, si sono aggiunte altre cause, peraltro strettamente connesse e interdipendenti tra di loro. La scomparsa dei partiti tradizionali della Prima Repubblica. La volatilità del voto, un tempo molto stabile, ancorato ai partiti e alle loro ideologie di riferimento. Lo scadimento graduale e complessivo del personale politico. L’abbassamento del livello culturale del Paese.
Il risultato? Consigli comunali spesso inguardabili se non addirittura indecorosi. Nella nostra città, tanto per non farci mancare nulla, abbiamo toccato il fondo sotto la presidenza dell’attuale assessore al personale Adolfo Salsano. Siamo scaduti a livello di bar sportivo, di bettola di periferia, di mercatino rionale. Ben lontano, insomma, dal decoro istituzionale che merita il parlamentino di una città qual è Cava, dalle antichissime e nobili tradizioni municipali. Immaginate come si saranno rivoltati nella tomba gli amministratori di un passato non molto lontano: Eugenio Abbro, Riccardo Romano, Gaetano Panza, Federico De Filippis, Vincenzo Cammarano, o anche Achille Mughini, per fortuna ancora tra noi, per ricordarne soltanto qualcuno dei tanti che abbiamo visto seduti su quei banchi. Altri tempi, si dirà? Appunto.
Un altro passaggio dell’intervista che lascia il segno è quello del rapporto tra amministratore e opinione pubblica cittadina. Con eleganza ma con precisione chirurgica, il nostro è impietoso quando ricorda che “dopo qualche tempo chi è seduto sulla poltrona di Sindaco o di assessore presta attenzione alla voce del Palazzo più che a quella della piazza”. E prosegue: “Spesso non si interpreta il desiderio della città, ma si rimane irretiti dalle logiche interne alla politica e agli uffici: e queste logiche sono incomprensibili all’esterno”. E’ successo con tutti, anche con i migliori. Ciò dovrebbe far riflettere chi si candiderà nel prossimo futuro a governare la città.
Accarino, in altri passaggi, ribadisce il concetto quando afferma che “l’apparato, politico e amministrativo, dialoga solo con chi ha un ruolo istituzionale”. Così come quando assicura che “la piazza è attenta e potrebbe ricevere maggiore ascolto e dare una mano, all’occorrenza”.
Ci sono altri numerosi spunti, ma per non dilungarci e non abusare oltre della pazienza dei nostri lettori, ci soffermiamo sugli aspetti programmatici. Accarino individua come interessi “primari la conservazione del lavoro, le possibilità occupazionali, lo sviluppo locale delle imprese” . E che non possono essere ignorati “l’instabilità e lo scoramento dei giovani, dei ceti produttivi e dei professionisti”. Per poi mettere il dito in una piaga aperta da decenni: “C’è un problema che ci attanaglia da oltre quarant’anni: i pesanti vincoli sull’attività edilizia”. Con una sconsolante quanto veritiera considerazione: “Paghiamo lo scotto di un’inadeguata rappresentatività”. Un modo garbato per dire che la nostra città conta da decenni meno del due a briscola nel panorama politico provinciale e regionale. Siamo ai margini dei centri di potere dove si decidono le scelte strategiche e di sviluppo. E anche per questo la nostra città arretra.
Proviamo, a questo punto, a tirare delle conclusioni. L’avvocato Accarino con le sue risposte alle nostre domande ci ha rappresentato, in modo concreto e plastico, la complessità storica, politica, amministrativa, finanziaria e civile, che vive da qualche anno la nostra città. Dà, in verità, anche dei suggerimenti, delle indicazioni, ma a prevalere è la diagnosi dei malanni, dei disagi, dei limiti, delle sofferenze della nostra città. Certo, lo fa con signorilità, in modo misurato, con quell’aplomb anglosassone che lo contraddistingue, ma la sua analisi è tanto reale e concreta da risultare, alla fine, dura e cruda.
Insomma, la domanda finale che ci sorge spontanea è: ma la città è oramai inesorabilmente perduta? Forse sì. Se vediamo il suo stato attuale -tra debiti e ammanchi dalle casse comunali, un Ente Comune ridotto a verminaio, una politica cittadina prossima alla pattumiera- a prevalere è indiscutibilmente lo scoramento.
La realtà, come dire, irrimediabilmente ci soffoca e sopraffà. Tuttavia, non bisogna mollare. Senza illudersi, questo sì, e avendo contezza delle difficoltà del momento. E sforzarsi, come consiglia Accarino, di “volare un po’ più alto”.
E, nonostante tutto, lo dobbiamo fare come singoli cittadini prima di chiederlo, con forza e senza sconti, alla politica e ai suoi protagonisti. A quelli di oggi, ma più ancora a quelli di domani.