Il voto di domenica ha, naturalmente, una chiara valenza nazionale, almeno per quel che riguarda le prime quattro città italiane oltre il milione di abitanti e che, per la modalità stessa con cui si è espresso il confronto politico, essenzialmente attraverso i grandi media, somiglia alquanto al voto delle elezioni generali. Ma assume significato anche per gli altri capoluoghi andati al rinnovo, che raccontano qualcosa di più sulla performance dei cosiddetti partiti.
Sbriciolati, disciolti nelle civiche, devoluti al solo leader, in affanno nel migliore dei casi.
Gli osservatori di cose politiche hanno sempre attribuito la dignità di partito politico ormai soltanto al Pd e alla Lega: ebbene, nonostante la grande esposizione dei leader il voto di domenica per entrambi i partiti è andato maluccio. Non si può dire che Renzi non l’avesse messo nel conto, anticipando di cinque mesi la campagna elettorale referendaria quasi a rimuovere l’impatto mediatico di una possibile défaillance alle amministrative: probabilmente le proporzioni di questo risultato negativo nelle grandi città (salvato in termini di dignità solo da Milano) sono state tali da essere registrato con grande enfasi anche nei media internazionali.
D’altro canto, era possibile perdere Roma a favore dei Grillini e pensare di archiviare la cosa come incidente di percorso dovuto all’ignavia dei locali? Per le ragioni opposte il movimento di Grillo esulta: ai ballottaggi tra le prime quattro città è andato a conquistarne due, con candidate donne che avrebbero ben interpretato l’immaginario politico renziano.
Il referendum di ottobre li coglierà in luna di miele con la pubblica opinione. E questo al netto del giudizio sulla capacità di esercitare con efficacia il nuovo ruolo nelle due grandi città metropolitane.
La destra, in questo asimmetrico tripolarismo c’è, checché se ne voglia dire: la buona battaglia di Parisi a Milano e i nove capoluoghi su tredici conquistati raccontano che il popolo c’è e forse persino un pochino di struttura locale. Manca, però, dopo Berlusconi, un punto di riferimento. E la cosa non è trascurabile.
Che morale ha questa favola? Innanzitutto, quella che spinge per una riforma del sistema di elezione locale: perché questi inutili ballottaggi che, salvo Torino, hanno confermato il voto di due settimane fa registrando l’abbandono delle urne di altri dieci elettori su cento? Ma, visto che ci siamo, forse è anche il caso di mettere mano alla correzione dell’Italicum: è già obsoleto, nacque per assecondare una tendenza bipartitica che adesso è clamorosamente sconfessata dal tripartitismo, in Italia, ma diremmo in tutta Europa, dove la crisi ha prodotto varie forme di populismo politico.
Infine: referendum. Siamo sicuri che la strategia “o con me o contro di me” , piuttosto che quella che propone il ragionamento pacato nel merito, sia ancora quella valida? Chi deve ha un po’ di tempo per pensarci e raddrizzare il tiro.
Pino Pisicchio
Presidente del gruppo Misto alla Camera
21.06.2016 – by Nino Maiorino – Non trovo cenno al vero vincitore di questo ballottaggio, e anche del primo turno, e cioè l’astensionismo. Mi piacerebbe conoscere il parere dell’ On. Pisicchio.