Cava de’ Tirreni, politica e mafia locale: la favola del colibrì
Cava de' Tirreni, politica e mafia locale: la favola del colibrì
Nei giorni scorsi ho avuto modo di leggere una sentenza che riguarda molto da vicino la nostra città. E’ quella emessa dalla Suprema Corte di Cassazione, Seconda Sezione Penale, lo scorso giugno e depositata pochi giorni fa, a fine ottobre, che ha portato alla definitiva condanna di numerosi imputati tra cui l’assessore metelliano Enrico Polichetti.
Non entro nel merito della sentenza non avendo le necessarie competenze giuridiche nonché la compiuta conoscenza dei fatti. La lettura delle sue 68 pagine, però, mi ha letteralmente incupito.
Sì, confesso la mia ingenuità, della nostra città ho avuto sempre una visione solare. Sia chiaro, neanche ero e sono tanto credulone da non sapere che esistevano ed esistono zone grige e non pochi soggetti, come dire, border line. Anche in politica. D’altro canto, nella breve esperienza avuta nel palazzo qualche assaggio l’ho avvertito anche sulla mia pelle. Tuttavia, certe criticità le ho sempre ritenute se non proprio fisiologiche quantomeno alquanto inevitabili e comunque censurabili.
Dalla sentenza, invece, emerge una città brumosa. Altro che solare. Una nebbia fatta di estorsioni e di usura. Un offuscamento che in qualche modo aveva cercato di avvolgere il palazzo del potere municipale. Una mafia locale che come un cancro era entrata nel tessuto connettivo cittadino e puntava alle istituzioni democratiche. Da qui emerge l’amarezza di un amante tradito.
Le organizzazioni criminali di oggi hanno da tempo compiuto un salto di qualità. Compiono azioni meno eclatanti, ma sono più invasive, penetranti. Di sicuro, però, non meno delinquenziali e pericolose. Anzi. Insomma, una criminalità più evoluta che non disdegna affatto, anzi, cerca di relazionarsi con la politica e condizionarla. Questo è avvenuto un po’ ovunque e in modo molto più evidente e grave in tante altre realtà locali del nostro Paese. E’ accaduto anche nella nostra città, o quantomeno era in corso questo tentativo, sventato però dalla solerte e caparbia azione delle autorità inquirenti.
Da questa vicenda triste e inquietante, racchiusa nella sentenza della Cassazione, la città è stata segnata ma ne è venuta fortunatamente fuori con danni contenuti. Non per meriti suoi, però.
L’auspicio è che ne faccia tesoro la politica locale, nel suo insieme assai scadente ma sostanzialmente sana, per quanto consociativa e con forti limiti amministrativi. Va comunque alzata l’asticella etica. Anche di parecchio. E non certo per un vuoto puritanesimo. A cominciare dalla selezione del personale politico. A tutti i livelli. Sottogoverno compreso.
Allo stesso modo, l’azione amministrava a Palazzo di Città, così come nelle società partecipate, deve essere improntata alla massima trasparenza più di quanto non lo sia adesso. E nulla deve far adombrare una possibile illegalità. Ne va della credibilità delle istituzioni democratiche, ma anche della loro resistenza alla criminalità organizzata. Così come va combattuta l’illegalità più o meno diffusa.
Tutto ciò, infatti, è il terreno di coltura della cattiva politica e della mala gestio, del clientelismo e del malaffare, del deterioramento del tessuto sociale, del possibile cedimento alle infiltrazioni criminali. Certo, poi vanno auspicate anche competenza e capacità, ma questo è un altro discorso.
L’auspicio, però, è che la nostra città nel suo insieme, la sua società civile, sia su questo tema della legalità molto più reattiva ed esigente. E soprattutto non autoreferenziale nel suo impegno civile, imbevuto com’è quasi sempre da un perbenismo di facciata che mira a coltivare gli interessi del proprio orticello piuttosto che il bene comune.
In conclusione, grazie all’autorità giudiziaria ci è andata bene. Ciò non vuol dire che in futuro non ci possano essere delle ricadute. Toccherà ad ognuno di noi cavesi fare la propria parte per evitarle.
A questo proposito, è utile ricordare la favola del colibrì raccontata qualche tempo fa da Liliana Segre. C’era un grande incendio che stava devastando la foresta. Un colibrì con il suo piccolo becco raccoglieva dal ruscello una goccia d’acqua andando avanti e indietro a lanciarla sulle fiamme. «Ma cosa fai? — gli dissero — non serve a niente». Ma il colibrì non si fermò. Rispose: «sì, ma intanto faccio la mia parte». Se milioni di colibrì fanno la loro parte si può sperare.