Tasse, negli ultimi 20 anni sono aumentate di quasi 200 miliardi di euro

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foto angelo tortorella

Evasione fiscale al 16,3 %: sottratti al fisco 114 miliardi

Dall’Ufficio studi della CGIA segnalano che negli ultimi 20 anni (1997-2017) il peso delle tasse in capo ai 41 milioni di contribuenti italiani è aumentato di quasi 200 miliardi di euro (per la precisione 198). Una cifra da far tremare i polsi e che rende immediatamente l’idea di quanto le richieste dell’erario siano diventate spaventosamente onerose.

E se l’inflazione in questi 2 decenni è aumentata di quasi 43 punti percentuali, le entrate tributarie sono cresciute di oltre 65 punti, vale a dire il 22,5 per cento in più del costo della vita.

“Come emerge in molti manuali di scienza delle finanze – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – con un carico impositivo smisurato anche l’evasione fiscale assume dimensioni economiche preoccupanti. Secondo una nostra elaborazione, infatti, la media nazionale dell’evasione fiscale è al 16,3 per cento, con punte del 24,7 in Calabria, del 23,4 in Campania e del 22,3 per cento in Sicilia. A livello nazionale stimiamo che le imposte sottratte al fisco siano poco più di 114 miliardi di euro”.

Dalla CGIA fanno sapere che l’insieme delle imposte evase a livello regionale è stato stimato applicando al valore aggiunto sommerso un coefficiente determinato dal rapporto tra il gettito fiscale e il valore aggiunto desumibile dai conti nazionali, al netto dell’economia non osservata.

L’armamentario fiscale italiano è composto da oltre 100 voci: una
sequela di addizionali e bolli, dai canoni ai contributi, dai diritti alle
imposte per passare alle ritenute. Non mancano, ovviamente, le tasse
i tributi e le sovraimposte; senza contare che paghiamo, purtroppo,
anche le tasse sulle tasse. L’esempio più clamoroso lo subiamo
quando ci rechiamo a fare il pieno alla nostra autovettura. La base
imponibile su cui si applica l’Iva è composta anche dalle accise sui
carburanti.

Con un giorno di lavoro in più rispetto al 2018, nel 2016 (ultimo anno
in cui è possibile effettuare una comparazione con i paesi Ue) i
contribuenti italiani hanno lavorato per il fisco fino al 2 giugno (154
giorni lavorativi), vale a dire 4 giorni in più rispetto alla media
registrata nei Paesi dell’area euro e 9 se, invece, la comparazione è
realizzata con la media dei 28 Paesi dell’Unione europea.

Se confrontiamo il “tax freedom day” italiano con quello dei nostri
principali competitori economici, solo la Francia presenta un numero
di giorni di lavoro necessari per pagare le tasse nettamente superiore a quello italiano (+21); tutti gli altri, invece, hanno potuto festeggiare la liberazione fiscale con un netto anticipo.

In Germania, ad esempio, 7 giorni prima di noi, in Olanda 12, nel Regno Unito 27 e in Spagna 28.

Il paese più virtuoso è l’Irlanda: con una pressione fiscale del 23,6
per cento permette ai propri contribuenti di assolvere gli obblighi
fiscali in soli 86 giorni lavorativi.

Oltre all’eccessivo carico fiscale che grava sui contribuenti, concludono
dalla CGIA, il problema nel nostro Paese è anche il peso
dell’oppressione fiscale che ostacola l’attività quotidiana, soprattutto
delle imprese di piccola dimensione. Al netto delle tariffe applicate dai
commercialisti per la tenuta della contabilità aziendale, secondo una
indagine realizzata periodicamente dalla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, il costo della burocrazia fiscale in capo agli imprenditori
(obblighi, dichiarativi, certificazione dei corrispettivi, tenuta dei
registri, etc.) ammonta a circa 3 miliardi di euro all’anno. (fonte CGIA)

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