scritto da Filippo Falvella - 24 Settembre 2023 09:28

L’overthinking nella filosofia del cogitare: pensare e risolvere sono due facce di medaglie diverse

Considerazioni sull’overthinking e la sua natura deleteria, attraverso le varie filosofie del cogitare in una analisi introspettiva e sociale del fenomeno.

Se volessimo trattare la filosofia come si tratta la materia giuridica potremmo in essa trovare un broccardo che in poche parole ne identifica origine, tema d’indagine e addirittura finalità, mi riferisco al tanto dibattuto “Cogito ergo sum.” 

Tale locuzione, la quale traduzione alla lettera è “penso dunque sono”, è quella formula Cartesiana attraverso la quale l’esistenza dell’uomo viene dimostrata, o meglio viene dimostrata la certezza che questi ha di esistere, tramite cui il filosofo termina la sua indagine sulla ricerca di un metodo valido ed universale per la conoscenza.

In effetti l’unica certezza che abbiamo per quanto riguarda la nostra esistenza è proprio questa, noi pensiamo, e tramite questo pensare proiettiamo il nostro essere specifico all’interno dell’essere generale. Ma così come il nostro respirare, fondamentale per tenerci in vita ma comunque deleterio nel momento in cui l’aria è dannosa, così il pensare può da fondamento dell’esistenza tramutarsi in condanna all’esistenza.

 

L’OVERTHINKING

Come suggerisce il termine, “overthinking”, che in italiano si potrebbe rendere come “troppo pensare”, è quel fenomeno attraverso la quale si tende a dedicare troppi pensieri ed attenzioni ad una propria esperienza, che il più delle volte è ingigantita per l’appunto dai costanti pensieri che si hanno su di essa, tramutando una questione semplice in qualcosa di decisamente più ampio. Quella dell’overthinking è un’esperienza decisamente personale, e tentare adesso di darne una definizione universale sarebbe come poter dare dell’amore una descrizione che calzi perfettamente le sensazioni d’ogni individuo: impossibile.

Ed è proprio per questo che per quanto riguarda questo specifico step di questa specifica trattazione mi sento di affidare tale definizione direttamente al lettore, in modo tale da poter davvero trarre un eventuale, e soprattutto personale, giovamento da tale lettura. Come se questo articolo fosse una di quelle schede facilmente reperibili su Facebook per scoprire che frutto sei, così consiglio di immaginare questo primo paragrafo poiché, come spesso capita, per quanto il punto d’arrivo d’un problema possa differire da individui ad individuo, la soluzione può essere identica per ognuno di questi.

 

LA FILOSOFIA DEL COGITARE

Per filosofia del cogitare mi permetto di intendere tutte quelle indagini filosofiche che per tema centrale hanno appunto il pensare, dal quale mare mi limiterò a prendere qualche goccia, al fine di poter meglio discutere del precedentemente trattato fenomeno. Di una di queste gocce abbiamo già avuto modo di bagnarci, e si tratta della filosofia del cogitare Cartesiana, ma al fine di inumidirci sufficientemente per poterci finalmente “inzuppare” di conoscenza, ne tratterò un ultimo paio. La prima è la classifica rappresentazione da parte del soggetto dell’oggetto, ovvero quella filosofia Schopenhaueriana che sommariamente ci informa che le nostre esperienze, e dunque il nostro modo di relazionarci ad esse, dipende da noi, ergo: ognuno vive un qualcosa in base a quello che è, ed il modo di rapportarsi d’ognuno ad un problema dipende esclusivamente dal suo modo d’essere.

La seconda invece proviene dalle “Lettere di uno Stoico” di Lucio Anneo Seneca, che in uno scambio di lettere con l’amico Lucilio afferma che la vita è spesso inficiata dalla costante presenza d’una negatività del pensiero, il temere che qualcosa ci danneggi ancor prima che questo ci danneggi effettivamente, soffrendo così d’un qualcosa che ancora deve farci soffrire, ed anticipando dunque un dolore che potremmo solo eventualmente patire. Con queste brevi e ben elaborate infarinature, interpretate al fine di poterle utilizzare in questo contesto, possiamo finalmente asciugarci verso la conclusione.

 

PENSARE TROPPO MA A MENTE LEGGERA

Quanto abbiamo appreso dal precedente paragrafo è dunque questo: la nostra intera esistenza si basa sul nostro pensare, il quale differisce da individuo a individuo ed è troppo spesso inficiato da una negatività di fondo, che per tutelarci dalle nostre paure altro non fa che materializzarle. La parte più connessa al topos di questa discussione è chiaramente l’ultima, quella paura preventiva che finisce per diventare talmente forte da limitarci, o addirittura precluderci di un qualcosa.

E’ chiaro adesso che il punto focale del male che ci troviamo a vivere è quello dell’insicurezza, del timore che un qualcosa possa non presentarsi come lo desideriamo che ci porta a far sì che non si presenti proprio. Quello dell’overthinking non un fenomeno a sé, per quanto è certamente vero che talune persone hanno tendenze più riflessive rispetto ad altre, ma una semplice manifestazione delle nostre insicurezze in un mondo ipotetico.

Tutto questo altro non è che un’esagerazione d’un dolore ancora non vissuto, una sua anticipazione. Ci prendiamo la briga di preoccuparci d’un qualcosa che di fatti non è ancora motivo di cruccio, stabilendo le dimensioni d’un qualcosa che potrebbe essere molto più ridotto di quanto immaginiamo.

L’overthinking non è pensare troppo, ma paura di vivere, paura di non esser capaci d’affrontare un qualcosa e tentare di iniziare ad affrontarlo prima, sperando così d’arrivar pronti e preparati ad un qualcosa per la quale non possiamo essere né pronti né preparati. La vita non è un gioco d’anticipazioni, non è un libro che stiamo rileggendo ma una lettura sempre nuova nella quale ogni pagina è diversa da quella precedente. L’overthinking non è pensare troppo, ma pensare male, è quella presunzione di poter prevedere quell’unica cosa che non può essere prevista, la vita.

E a tutto questo è dunque conseguente una cosa: quella che manca non è la leggerezza, perchè dietro il troppo pensiero, se ben gestito, non c’è niente di male, ma a mancare è il coraggio di poter vivere passo per passo senza sapere cosa calpesterà il nostro piede.

Un problema diventa tale nel momento in cui questo si è risolto, che sia d’esito negativo o positivo, perché prima d’allora altro non è che una sterile elucubrazione su un qualcosa di solamente probabile, non certo.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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