L’abbandono dell’analogico attraverso Agostino: come il futuro farà a meno del passato
Considerazioni sul sempre meno influente ruolo della carta e dei suoi analoghi come mezzi di trasmissione temporale, attraverso la “Distensio animi” Agostiniana.
Non c’è più bella sollecitazione per la memoria di un’immagine. L’immagine è di per se evocativa, profonda, personale, è quella squisita pagina bianca che si fa dipingere dagli occhi di chi la osserva. Ma un’immagine può anche essere rappresentativa d’un attimo, di un’epoca o addirittura di un’emozione, ed in questo caso è molto più semplice parlare di fotografia. L’arte della fotografia è quel sublime tentativo di catturare un attimo al fine di farlo perdurare oltre il suo tempo, quella cornice cartacea capace di intrappolare l’opera d’un momento, ed è proprio per questo che il valore sentimentale e storiografico di tale pratica rappresenta in un certo qual modo la natura stessa del passato: memoria in favore del domani, dalla quale attingere a proprio piacimento. Ma non c’è arte che prima o poi non affronti la sua crisi, e non c’è storia che in ogni momento non tema d’esser dimenticato, a discapito del futuro.
LA FOTOGRAFIA NEI TEMPI D’OGGI
I tempi in cui per verificare l’esito d’una fotografia bisognava attendere la sua stampa sono finiti da un bel po’, quel senso di fotografia che insieme si fa quadro è stata sostituita, se non si parla d’arte della fotografia, dalla velocità esecutiva del digitale. Chiaramente, per quanto dubito sia davvero necessario specificarlo, la fotografia in questa sede è da considerare nel suo utilizzo di massa, non riferendosi a colui che si dedica alla fotografia bensì al come questa pratica sia diventata grazie alla tecnologia d’uso comune e, soprattutto, sulla non necessità di “stampare” tale operato. Quanto si intende portare avanti altro non è che una analogia, strumento filosofico caduto ormai in disuso, al fine di immaginare la fotografia come rappresentate del perdurare della memoria. La foto non è più quel ricordo da conservare gelosamente in un baule, ma un veloce mezzo di comunicazione per risparmiare parole e catturare non l’attuale ma “l’attualità”. Ci serviamo delle foto in termini sempre più pratici e proprio da questa praticità s’è persa l’esigenza di stamparle, in quanto non più profondo mezzo di trascendenza ma superficiale tentativo di comunicazione istantanea.
LA “DISTENSIO ANIMI”
Nell’aspro sentiero che Agostino imboccò al fine di definire una filosofia razionale ma al contempo religiosa, rispose alla dimensione del tempo con una splendida intuizione, la quale merita d’essere analizzata al di fuori del suo contesto. Il tempo non esiste, si tratta invece di una “estensione dell’anima” la quale si divide in parti analoghe ai tre momenti del tempo stesso: presente, passato e futuro. Nelle Confessiones Agostino afferma che viviamo in contemporanea tre tempi, ovvero: il passato, che è l’attesa, il presente, che è la visione, ed infine il futuro, rappresentativo dell’attesa. Secondo il filosofo il passato, il quale si manifesta come ricordo, poteva essere tramite la sua assimilazione tramutato in memoria, la quale avrebbe reso più chiara la visione è più intuibile l’attesa. Agostino avrebbe consigliato, in poche parole, di non trattare la fotografia come ricordo, flebile immagine che attende d’esser sostituita dal presente, bensì di stampare i propri scatti e tramutarli in memoria, bagaglio capace d’alleggerire i due momenti d’animo successivi. Dei tre tempi è maggiormente influente proprio quello che non rivivremo mai più, poiché l’unico capace di influenzare il successivo, determinante del terzo. Attraverso la memoria è possibile vivere la novità attraverso il già visto, disinnescare l’attitudine che in passato esplose come negatività e rivivere un passato “corretto” da se stesso. Ma affidandoci invece al ricordo avremmo soltanto la duplice difficoltà di affrontare il nuovo in un distorto tentativo d’associarlo ad un qualcosa che non abbiamo affrontato “correttamente”.
DA MEMORIA A RICORDO
Quanto si vuole far immaginare al lettore è l’idea che la fotografia stampata rappresenti la memoria, immagine ferma e costante che si pone in aiuto del domani, mentre la fotografia digitale si palesi come ricordo, immagine fugace verso la quale s’è prestata poca attenzione. Il senso del discorso è proprio sul come si palesi sempre un maggiore interesse verso il ricordo, al fine di immagazzinare più immagini possibili, e sempre meno attenzione alla memoria. Non ci interessa più tanto la qualità della nostra memoria, bensì la sua quantità, il vivere più cose possibili al salatissimo costo di renderle esperienze blande e poco formative. E non è tanto la profondità che si può dare ad una qualsiasi foto, perché lì si tratta di puro soggettivismo, ma la necessità che ha smosso a scattare tale fotografia. Se prima fotografavamo per poter un domani ricordare e rivivere quel momento adesso lo facciamo per poter mettere una tacca su una esperienza vissuta e così timbrare il cartellino della vita: non vogliamo vivere bene, vogliamo vivere a lungo. Ma la vita non è un lavoro, non è uno scattare più foto possibili al fine di riempire l’album delle esperienze vissute e poter poi morire con la coscienza pulita, la vita è giocare con gli scatti e prendersi il giusto tempo per stampare ogni momento, solo così potremo davvero dire d’aver vissuto fino all’ultimo giorno e d’aver reso ogni scatto veramente degno d’essere incorniciato.