La pastiera di grano, dalla sirena Parthenope alla “Regina che non sorride mai”: storie e leggende del dolce della Pasqua napoletana
Si racconta, infatti, che Maria Cristina di Savoia, figlia di Maria Teresa D’Austria, consorte del re Ferdinando II di Borbone
A Pasqua nelle case di ogni famiglia campana, cascasse il mondo, si mangerà il dolce simbolo del periodo: la pastiera. Ogni massaia ha la propria ricetta e la propria versione di questo dolce che fa parte della tradizione gastronomica partenopea e ha sfumature diverse da famiglia a famiglia.
Nessuno riesce a resistere a questa bontà di ricotta, grano e fior d’arancio racchiusa in una fragrante frolla, persino la più triste delle regine. Si racconta, infatti, che Maria Cristina di Savoia, figlia di Maria Teresa D’Austria, consorte del re Ferdinando II di Borbone, soprannominata dai soldati “la Regina che non sorride mai”, cedendo alle insistenze del marito buontempone, famoso per la sua ghiottoneria, assaggiò una fetta di Pastiera e non poté far a meno di sorridere. Pare che a questo punto il Re abbia esclamato: “Per far sorridere mia moglie ci voleva la pastiera, ora dovrò aspettare la prossima Pasqua per vederla sorridere di nuovo”.
Dall’episodio è nata una storiella in rima baciata:
“A Napule regnava Ferdinando Ca passava e’ jurnate zompettiando; Mentr’ invece a’ mugliera, ‘Onna Teresa, Steva sempe arraggiata. A’ faccia appesa O’ musso luongo, nun redeva maje, Comm’avess passate tanta guaje. Nù bellu juorno Amelia, a’ cammeriera Le dicette: “Maestà, chest’è a’ Pastiera. Piace e’ femmene, all’uommene e e’creature: Uova, ricotta, grano, e acqua re ciure, ‘Mpastata insieme o’ zucchero e a’ farina A può purtà nnanz o’Rre: e pur’ a Rigina”. Maria Teresa facett a’ faccia brutta: Mastecanno, riceva: “E’ o’Paraviso!” E le scappava pure o’ pizz’a riso. Allora o’ Rre dicette: “E che marina! Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera? Moglie mia, vien’accà, damme n’abbraccio! Chistu dolce te piace? E mò c’o saccio Ordino al cuoco che, a partir d’adesso, Stà Pastiera la faccia un pò più spesso. Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno; pe te fà ridere adda passà n’at’ anno!”
Un’altra leggenda narra della sirena Partenope che emergeva dalle acque del Golfo di Napoli ogni primavera. Un giorno decise di rallegrare gli abitanti con il suo canto e melodie di amore e gioia. I napoletani ne furono entusiasti e per ringraziarla le portarono in dono una serie di ingredienti simbolici. Sette belle fanciulle dei villaggi del Golfo di Napoli consegnarono dei doni a Partenope:
- la farina, simbolo di ricchezza;
- la ricotta, simbolo di abbondanza e generosità;
- le uova, che richiamano la fertilità e della vita che sempre si rinnova;
- il grano cotto nel latte, simbolo del regno animale e vegetale;
- i fiori d’arancio, profumo della terra campana;
- le spezie, omaggio di tutti i popoli;
- lo zucchero, per celebrare la dolcezza del canto della sirena.
Parthenope diede i doni a gli dei del mare che provvidenzialmente li mescolarono trasformandoli nella prima Pastiera che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.
In realtà la pastiera nacque: nel XVI secolo in un conventodi Napoli. Probabilmente nel Convento di San Gregorio Armeno dove una suora volle preparare un dolce in occasione della Pasqua in grado di associare il simbolismo cristianizzato di ingredienti come le uova, la ricotta e il grano, associandovi le spezie provenienti dall’Asia e il profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. Le suore del convento erano delle vere maestre nella preparazione delle pastiere, che poi regalavano alle famiglie aristocratiche della città.La pastiera iniziò a diffondersi rapidamente entrando a far parte della tradizione culinaria partenopea come simbolo della Pasqua.
Ma perchè sulla pastiera vanno messe sette strisce di frolla? La versione più accreditata, tra le tante ipotesi, è quella che racconta come esse rappresentino la planimetria dell’antica città di Neapolis, ovvero il centro storico della Napoli attuale con i Decumani e Cardini della città greca: i tre decumani (Superiore, Maggiore, Inferiore) e i quattro cardini (corrispondenti ad altrettanti vicoli che intersecavano le strade principali).