Da qualche tempo vediamo che molti distributori di carburanti, non tutti in verità, vendono il gasolio ad un prezzo superiore a quello della benzina verde, e ci siamo chiesti il perché, visto che è sempre stato il contrario.
Questo sta accadendo da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, dopo il 24 febbraio 2022, e dopo che alla stessa sono state imposte da tutti i paesi occidentali pesanti sanzioni.
Tali sanzioni, se da un lato hanno penalizzato l’economia russa, dall’altro hanno indotto Putin ad adottare contromisure per tentare di mitigarle: tra queste non vi è solo la riduzione delle forniture di gas russo, delle quale gli effetti certamente li avvertiremo, oltre che economicamente come sta avvenendo adesso, anche per il rigore termico che saremo costretti a sopportare nei prossimi mesi invernali.
Legato a tali contromisure vi è anche la riduzione delle forniture di gasolio russo.
Spinti da quesiti specifici pubblicati sui social, ci siamo documentati consultando la più prestigiosa rivista automobilistica italiana, Quattroruote, sulla quale proprio qualche giorno fa è stato pubblicato un interessante servizio di Emilio Deleidi che chiarisce il tutto.
Il sorpasso del prezzo del gasolio su quello della benzina sembra stabile: il verbo dubitativo è giustificato dalla circostanza che non tutti i distributori si sono ancora adeguati.
I valori medi della benzina sono, infatti, di 1,765 euro al litro per il self-service e di 1,910 per il servito; quelli del gasolio, rispettivamente di 1,783 e 1,925.
Lo scarto si riflette negli impianti delle principali compagnie, dove la benzina costa 1,766/1,953 euro al litro (sempre self/servito) e il gasolio 1,787/1,968.
Le pompe bianche, dette anche no logo, seguono la medesima dinamica, con la verde a 1,760/1,827 euro e il gasolio a 1,773/1,838 euro.
Ma perché si è arrivati a questa situazione, che mette fuori gioco le autovetture con motere diesel, già penalizzate per il loro presunto impatto ambientale?
Lo spiega Davide Tabarelli, presidente del centro di ricerche Nomisma Energia.
I tagli della Russia. – Ormai da mesi, da quando è iniziata la guerra in Ucraina, si è creata questa situazione, dovuta alla carenza di gasolio nel Mediterraneo, derivante dal fatto che sono venute meno, in anticipo sull’embargo previsto per gennaio, le esportazioni dalla Russia, il principale fornitore. La mancanza di prodotto non è stata compensata da esportazioni da Paesi come India e Stati Uniti, dai quali pure qualcosa arriva, e questo ha determinato il rialzo dei prezzi.
Il problema si è sentito meno nei mesi di giugno e luglio e ora ha ripreso vigore e non per esigenze militari, concentrate soprattutto in Russia, Paese che produce il gasolio che consuma, senza incidere sui mercati internazionali.
Nei paesi della Nato riguarda soprattutto il carburante aeronautico.
Il fenomeno va inquadrato in un contesto mediterraneo e, quindi, anche italiano, di minore produzione, dovuta alla riduzione della capacità di raffinazione. Il petrolio non si usa mai greggio, ma va raffinato e negli ultimi anni sono state chiuse tantissime raffinerie in Europa e negli Stati Uniti.
Ne serve di più. Un altro aspetto alla base del rincaro è l’andamento della domanda, che è tornata a crescere: c’è stata una frenata dovuta ai timori per la recessione americana e al rallentamento dell’economia cinese, che avevano limitato la corsa al rialzo dei prezzi, ora invece ripresa: si ripresenta, quindi, una situazione di squilibrio tra l’offerta e la domanda, tra la capacità di raffinazione e la crescita del fabbisogno petrolifero, che continua a salire in maniera stabile dopo la forte interruzione dovuta alla pandemia.
Ma è sbagliato attribuire all’aumento del prezzo del gasolio il calo delle vendite delle autovetture, che dipende dalla concorrenza del sistema distributivo, che impone margini molto bassi.
Inoltre, il consumo di gasolio è legato soprattutto ai trasporti su gomma, che stanno andando molto bene e che, quindi, incrementano la domanda di prodotto, il che fa aumentare il prezzo alla pompa.
Accise al rialzo. C’è, infine, un altro aspetto da valutare in prospettiva: nei programmi di alcune delle coalizioni che si presentano alle elezioni del prossimo 25 settembre c’è anche l’eliminazione delle facilitazioni fiscali su prodotti ambientalmente non sostenibili, tra le quali potrebbe rientrare l’accise sul gasolio, ora più bassa di quella applicata alla benzina.
Se questo si verificherà, non essendo pensabile un riallineamento al ribasso ma solo al rialzo, il gasolio potrebbe subire un colpo definitivo.
“Se ne parla da anni -replica Tabarelli- perché sono i partiti più ambientalisti che lo sostengono, ma credo sia una soluzione al momento improbabile, stante la spinta al rialzo dell’inflazione: aumentare l’accisa sul gasolio avrebbe un effetto negativo, in un momento in cui la vera crisi è quella relativa al gas”.
Senza dimenticare che oggi godiamo di una riduzione momentanea delle accise, che costa allo Stato circa un miliardo di euro al mese di entrate fiscali e che il futuro governo dovrà decidere se prorogare, non essendo sostenibile a tempo indefinito.
In conclusione sono molteplici i motivi che hanno determinato l’aumento del prezzo del gasolio rispetto a quello della benzina, ma ce n’è uno di fondo: l’invasione russa alla Ucraina, mai troppo deprecata, e la constatazione che la “guerra lampo”, prevista da Putin, si è tramutata in guerra lunga, e chi sa quanto altri mesi durerà, purtroppo.